martedì 2 aprile 2013
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​È la mattina delle Borse e della convocazione al Colle dei dieci saggi. Due appuntamenti decisivi, carichi di interrogativi e di attese. Eppure anche ieri le testa dei leader di partito (e quella del capo dello Stato) erano ferme su un’altra partita e su un’altra data: il 17 aprile e il probabile via alle votazioni che porteranno all’elezione del futuro inquilino del Quirinale. È questo il vero nodo. È capire se nel Pd prevarrà la linea di Bersani che punta a votarsi il nuovo presidente della Repubblica (sarà davvero Romano Prodi?) a maggioranza o quella di chi come Matteo Renzi, Enrico Letta e Dario Franceschini lavorano per un’intesa istituzionale "larga" con il Pdl. Tutto passa da questa partita. E anche la diffidenza della pattuglia berlusconiana sui "saggi" vi si collega strettamente. Il Cavaliere vuole capire, in tempi rapidissimi, se il lavoro dei due gruppi possa davvero aiutare a creare quel clima di collaborazione tra centrodestra e centrosinistra capace di favorire la nascita di un governissimo e di una successiva (e a quel punto scontata) intesa sul voto per il Quirinale. O se invece il rischio reale è quello di vedere prevalere la linea Bersani. In questo caso gli effetti a catena sarebbero drammatici. Devastanti. Il capo del Pd a quel punto forzerebbe per un voto entro i primi di luglio e chiederebbe al partito di essere ancora lui a guidare lo schieramento. Sarebbe un tentativo estremo per restare in vita, ma in questa partita di scacchi dove ognuno studia le mosse pensando alle contromosse dell’avversario, anche il Cavaliere ha pronto un piano B. E anche lui potrà avere chiare convenienze a un voto entro l’estate. Potrà costruire una campagna elettorale vittimistica. Potrà ripetere di aver chiesto per settimane (invano) un governo di concordia. E potrà gridare il suo sdegno per essere stato tagliato fuori anche dalla contesa per il Quirinale dopo che il Pd aveva tenuto per sé Camera e Senato.Senza un soprassalto di responsabilità l’Italia rischia di essere ridotta in un campo di macerie. Sono infatti troppe le incognite qualora dovesse prevalere la linea del vota entro l’estate. Perché tornare alle urne senza una nuova legge elettorale significa trovarci nella stessa situazione di oggi. E perché i mercati ci guardano e, difficilmente, capirebbero un voto al buio. Vogliono quelle certezze che oggi non ci sono e il rischio è che già questa mattina possa suonare il primo campanello d’allarme.
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