A settembre si riprende. Lo sanno gli studenti ormai agli sgoccioli delle vacanze estive, lo sanno gli insegnanti già alle prese con consigli di classe, assegnazioni ed esami, lo sanno gli adulti che ripopolano i luoghi di lavoro e lo sanno anche gli anziani che vedono più gente in giro e forse si sentono più sicuri e meno soli. Lo sanno tutti. E poi c’è un Paese intero che deve riprendere, che stenta a riprendere, che resterà l’unico in Europa con Pil negativo nel 2013 se si avvera la stima Ocse. Anche questo lo sanno tutti. Riprendere in un caso, riprendere nell’altro. Ma esiste un nesso tra i due o si tratta solo di una assonanza verbale, dello stesso lemma che in contesti diversi assume significati diversi? Il nesso esiste, eccome, sebbene non in senso biunivoco. Se si dà infatti il caso di una ripresa individuale che preceda quella sociale, non possiamo pensare al contrario. Non possiamo pensare al sociale, come corpo a sé, indipendente dai soggetti che lo costituiscono. È sempre la persona che pro-muove, ossia va davanti, si muove prima, fa strada. È lui il vero leader e promotore. Non ne derivi sfiducia nelle strategie, nelle pianificazioni, negli atti propriamente politici ed economici che restano necessari e dovuti in questo frangente difficile. Ne derivi piuttosto la caduta della sfiducia quanto al potere dell’individuo, dove potere non è innanzitutto sostantivo, ma verbo. Il soggetto può fare, il soggetto può intraprendere, il soggetto può iniziare. Anzi solo l’individuo inizia, ha la facoltà di quella mossa capace di generare un frutto che prima non c’era, un frutto il cui godimento si fa immediatamente sociale perché l’altro è già implicato nella sua produzione. Nessuno fa niente da solo: il lavoro, produttivo e fruttifero per definizione, è sempre un pas de deux.Possiamo faticare a crederlo nello scetticismo generale in cui siamo immersi, ma la ripresa del Paese dipende da quella nostra personale, quotidiana e concretissima. Ri-prendere significa prendere ancora, di nuovo. Significa reimpossessarsi del reale, renderlo materia per il nostro impegno e il nostro lavoro affinché ne derivi un di più valido per sé e per tutti. Per far salire il Pil servono studenti curiosi che si nutrano dei libri in vista di una meta personale e interessante, insegnanti che trasmettano la passione per le materie su cui hanno investito una vita di studio, lavoratori che tornino alla loro opera in ufficio, in fabbrica, negli studi professionali mossi dal desiderio di un utile personale che non vada mai a scapito degli altri, anziani che contribuiscano come riescono e possono alla trasmissione e alla conservazione di competenze ed esperienze. In questo modo il Paese potrà non solo riprendere, ma riprendersi, proprio nel senso di mettersi in sesto, tornare a nuovo vigore, come dopo uno stato di malattia. E la politica, che cosa può fare? La cosiddetta politica, così come il diritto, facilitino l’intrapresa personale, regolino e ordinino la convivenza civile in modo che i soggetti possano muoversi con profitto, produrre valore aggiunto e creare novità, che è molto di più dell’innovazione di cui si parla sempre molto. Nuovo, infatti, deve essere innanzitutto il modo con cui guardare e affrontare i nostri compiti. Nuovo è il legame, questo sì sociale, che genera un uomo che si muove così. Chi l’avrebbe mai detto che questo settembre sarebbe stato così importante per tutti noi? Allora non subiamolo, riprendiamocelo piuttosto, facciamolo nostro, affinché le nostre singole riprese permettano all’Italia di riprendersi. Finalmente.
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