sabato 21 marzo 2015
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Che dovesse finire così, con dimissioni forzose seppur volontarie, lo si era capito subito, al levarsi del vento mediatico dentro il quale gonfiava un uragano. Lo scenario delle indagini penali e il quadro guasto del "sistema" indagato dalla procura di Firenze, l’ennesimo urto di scandalo di questo sventurato Paese pieno di grandi opere marce, passavano quasi in seconda linea, un ordinario piatto da voltastomaco. Il boccone ghiotto invece era lui, il ministro, anzi il figlio del ministro, anzi la moglie del ministro, e le amicizie di famiglia e i doni degli amici, e insomma la fiducia e la frequentazione con i "delinquenti" ora arrestati.Delinquenti? Dire sì o no, assoluzione o condanna, toccherà al processo dirlo, e – come qui non ci si stanca di ripetere – fino alla fine dobbiamo stare alle regole.  Per nessuno ci può essere un tritacarne preventivo. Maurizio Lupi, poi, non è neppure indagato. Le intercettazioni non gli rovesciano addosso neppure un’ombra di illegalità. Ma andarsene è stato necessario, perché l’arena politica ha la sua dura ferocia e quella mediatica le sue gogne. Lupi ha detto alcune cose su di sé, sulla sua famiglia e le sue idee, con una qualche amara fierezza; cose di cui in un’aula semivuota di Parlamento non importava più nulla quasi a nessuno, dopo il siluro (e dopo che , secondo il brutto costume della Seconda Repubblica aveva detto troppo, quasi tutto, in tv). E forse è lezione di vita anche questo, nel campo degli antagonismi politici (che in queste ore si rinfacciano gli indagati veri, ancora saldi in poltrona). A schivare le insidie di quel campo minato ci vuole semplicità di colomba e prudenza di serpente.Sì, le intercettazioni sono in generale anche un gossip infinito di ciarle, battute, maldicenze e riferimenti di seconda e terza mano; e le conoscenze non sono connivenze; e non è fatale che ogni regalo d’occasione compri un favore. Però – la cosa riguarda tutti i servitori dello Stato, tutti – chi sceglie quel mestiere come vocazione deve vivere con un abito mentale monastico, assoluto: con gli inerenti "voti". Più ancora di quanto non chiedano l’articolo 54 e l’articolo 98 della Costituzione. Che ovvietà essere incorrotti: ma anche un regalo qualunque va respinto. Di più: rivedere il proprio stesso entourage è un’ascesi necessaria, là dove il "potere" può insinuare le sue tentazioni adulatorie.Ma ora è giusto tornare al problema di fondo, che non è il ministro di oggi o di domani, immune da indagine o sospetto. Il problema che ci resta addosso per intero, dal tempo della bufera di Tangentopoli, è il malaffare che guasta il nostro Paese come una calamità senza fine. Non mette più conto neppure di classificarlo dentre le caselle puntigliose delle leggi penali fatte e rifatte, dopo che la gente s’è fatta l’idea che dove c’è opera pubblica c’è greppia e dove c’è greppia c’è cricca. Chissà se oggi, dopo rivoluzioni politiche, alternanze di governi, leggi e decreti, commissioni e inchieste, l’aria è cambiata o è rimasta la stessa venefica aria della "corruzione ambientale", quella che va da sé, che funziona da sé, che neppure ha più bisogno di induzione o costrizione o che altro, ma semplicemente usa il "traffico d’influenza", i suoi faccendieri, i suoi sodalizi tenaci nello scambio "pulito" di vantaggi.A volte è persino difficile dire che cosa è formalmente "legale" e che cosa è delitto. Ogni volta che si rilegge il codice dei contratti pubblici, o il codice degli appalti e il suo monumentale regolamento, viene una sorta di sgomento di fronte allo scenario di una selva di norme "di sicurezza" e di garanzia. Non sono bastati. Qualcuno invoca, a ogni nuovo scandalo, pene più aspre e pugno di ferro. E non ci si avvede che torna ogni volta in gioco il rapporto fra la legge e il cittadino, fra le norme defatiganti e gli adempimenti simulati, insomma fra le gride colleriche e le farse. È questo il rimpiattino che diviene "sistema", e deride la parola "onestà" che potrebbe cambiarlo. Contro il «pane sporco», l’onestà conviene: se non per virtù civile, almeno per scampo dal danno che ci procura il marcio.
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