La gente ci crede in preda alla disperazione, in verità siamo orgogliosi dei nostri martiri. La Bibbia ci dice di amare i nostri nemici e di benedire chi ci maledice. Ringrazio l’Is per non avere tagliato nel montaggio le voci dei martiri quando, a pochi secondi dall’esecuzione, imploravano Gesù e ribadivano la fede in Cristo. In questo modo l’Is ha rafforzato la nostra fede». Beshir, egiziano copto, ha pronunciato queste parole intervenendo con una telefonata in un programma televisivo su "Sat Seven", un’emittente satellitare che diffonde i suoi programmi in Medio Oriente e Nordafrica. Parlava dei suoi due fratelli, due dei ventuno egiziani sgozzati in febbraio dai miliziani dello Stato Islamico su una spiaggia libica del Mediterraneo e ripresi in un video che ha fatto il giro del mondo. Parole dell’altro mondo, le sue: un pugno nello stomaco per tanti cristiani che, soprattutto in un Occidente sempre più scettico e rassegnato, non si capacitano che si possa pronunciare il nome di Dio davanti a un boia che pretende di uccidere in nome di Dio.È tempo di martiri, oggi come agli albori del cristianesimo. Martire, in greco, significa "testimone", qualcuno che con la sua vita rende evidente ciò che la tiene in piedi. Uccisi «solo perché cristiani», ha più volte ricordato papa Francesco commentando gli episodi di questi mesi. Il rapporto "World Watch" documenta che il 2014 è stato l’anno con il più alto livello di persecuzione globale dei cristiani nell’era moderna. E i primi mesi del 2015 lasciano presagire un bilancio ancora più macabro per l’anno in corso. È di ieri la notizia del rapimento di padre Jacques Murad, rapito dai jihadisti in una piccola città della Siria centrale dove guidava la parrocchia siro-cattolica locale. Nonostante avvertisse la minaccia incombente, non ha voluto abbandonare i suoi fedeli e i tanti profughi che accoglieva, molti dei quali provenienti da Palmira, la città patrimonio dell’Unesco catturata dagli artigli dell’Is.Scorrono davanti agli occhi i volti degli studenti cristiani massacrati nel campus universitario di Garissa, in Kenya, dopo che gli shabaab somali li avevano "scelti" separandoli dai musulmani. Il volto di Asia Bibi, che questo giornale illumina ogni giorno in ultima pagina, imprigionata in un carcere pakistano da 2.160 giorni con l’accusa di blasfemia. I volti delle migliaia di cristiani fuggiti da Mosul dopo che le loro case erano state marchiate con la lettera iniziale di
Nazarat nell’alfabeto arabo, a indicare i seguaci di Gesù. Non avevano ceduto al ricatto: restare nelle loro terre in cambio della conversione all’islam, o del pagamento della tassa di sottomissione. «A Mosul abbiamo lasciato tutto, ma non abbiamo perso ciò che di più prezioso ci era rimasto: la nostra fede», aveva detto il vescovo Abel Nona, profugo con altri 100mila dalla Piana di Ninive. I fotogrammi di una persecuzione sempre più globalizzata si susseguono: le vessazioni imposte dal regime in Corea del Nord, gli attacchi dei fondamentalisti indù in India, gli assassini di sacerdoti in Messico, le stragi compiute delle bande di Boko Haram in Nigeria, il sangue versato sull’altare dal vescovo Romero mentre celebrava la Messa a San Salvador, oggi proclamato beato dalla Chiesa.«Signore, manda lo Spirito Santo a dare consolazione e fortezza ai cristiani perseguitati», recita il tweet di papa Francesco diffuso in occasione della grande preghiera promossa dalla Chiesa italiana per oggi, vigilia di Pentecoste. Un’invocazione che si unisce agli sforzi diplomatici che la Santa Sede sta mettendo in campo perché venga rispettata la libertà religiosa, radice di tutti i diritti umani. Decine di veglie sono state promosse in tante città (non solo in Italia), come questo giornale ha documentato in parallelo con l’hashtag #free2pray. È il tempo della prova, in cui la fede viene passata dentro un crogiuolo per provarne la consistenza. È il tempo della conversione, cioè della lunga strada che porta a riscoprire cosa permette di sperare contro ogni umana speranza. Mentre ci inchiniamo davanti al sacrificio di tanti fratelli, proviamo a pensare almeno per un momento quanto è grande l’Amore al quale sono avvinti i loro cuori. Allora, forse, la commozione di un momento comincerà a trasformarsi nella consapevolezza di avere un tesoro da offrire a tutti. E ritroveremo, come è accaduto all’egiziano Beshir, la verità della frase scritta da Tertulliano nel secondo secolo: «Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani».