«L’ideologia marxista come era concepita non corrisponde più alla realtà e così non può costituire una società: devono trovarsi nuovi modelli con pazienza e in modo costruttivo». Le parole di Benedetto XVI in partenza per il viaggio che lo condurrà in Messico e a Cuba suonano come un dolente monito nei confronti del regime dei fratelli Castro.
A quattordici anni dallo storico viaggio di Karol Wojtyla nell’isola caraibica ben poco – a dispetto delle apparenze e della tambureggiante propaganda – è cambiato. Non a caso quel grido di Giovanni Paolo II – «Cuba si apra al mondo, il mondo si apra a Cuba » – lascia intravvedere una strada ancora molto lunga, lastricata di inciampi, trappole, ingiustizie e pur tuttavia, come dice Benedetto XVI, «la Chiesa è sempre dalla parte della libertà: questo processo richiede pazienza e decisione e vogliamo aiutarlo con spirito di dialogo per evitare traumi».
Quando nel 2007 Fidel Castro cedette i pieni poteri al fratello Raul, il mondo si convinse che Cuba stesse per imboccare una prudente ma irreversibile via verso la libertà e la democrazia (anche economiche) e che i vecchi arnesi di cinquant’anni di reciproca ostilità – il bloqueo , ossia l’embargo americano, piuttosto che il divieto di espatrio da parte dei cubani – venissero rapidamente messi in soffitta.
Una pia illusione. La gerontocrazia dell’Avana ha avuto la meglio perfino sulle prime file dei possibili successori: i quarantenni, i giovani generali, i leader della gioventù comunista sono stati esonerati dagli incarichi a vantaggio di un regime paternalistico e autoritario insieme, una sorta di immenso
Kinderheim che relega la maggior parte degli 11 milioni di cubani in una sorta di avvilito torpore. Non si spiega altrimenti come il famigerato
cuentapropismo (neologismo cubano ad indicare il permesso di vendere beni propri accordato solo poco tempo fa dal regime) possa aver fatto gridare al miracolo: come se scambiare un mango con mezzo dollaro o vendere un pettine di balsa ai turisti sia un segno di ineguagliabile emancipazione economica e sociale.
Ma tant’è, Fidel e Raul Castro, come Prospero nella
Tempesta, cingono tuttora Cuba del loro sortilegio remoto, indifferenti – o piuttosto atterriti, ci verrebbe da dire – di fronte al declino che il vecchio modello ideologico ha irrevocabilmente e tangibilmente imboccato. Perché mentre le carceri di Fidel traboccano oggi come ieri di prigionieri politici, di dissidenti che hanno osato manifestare il proprio pensiero, di detenuti che si lasciano persino morire di fame, la vita quotidiana a Cuba è significativamente peggiorata rispetto all’orgoglioso paradigma autarchico che dipingeva l’isola come il campione assoluto del sistema sanitario latinoamericano, dello sport e dell’istruzione. «Né capitalismo né socialismo», ostenta la propaganda che allude a una misteriosa terza via, ma oggi lo Stato non ha più i mezzi per mantenere (a 18 dollari al mese) il 90 per cento della popolazione, nel 2015 si prevede la perdita di un milione di posti di lavoro nel settore pubblico e in compenso i cubani sono chiamati per la prima volta a pagare le tasse. In altre parole, si vive peggio di un tempo, gli ospedali non sono più un’eccellenza, la corruzione spicciola comincia a farsi strada insieme al moltiplicarsi dei reati comuni (un tempo sconosciuti) e qualche centinaio di computer e di telefoni cellulari messi in vendita sono solo un macabro simulacro di quella libertà di espressione che a Cuba costa carissima, a volte – come si è detto – anche la vita.
Due cifre per meglio comprendere: secondo la Commissione cubana per i diritti umani e la riconciliazione nazionale, da gennaio a settembre del 2011 si sono verificati 2.784 casi di violazione dei diritti umani, per lo più brevi periodi di carcere per i dissidenti, ossia 710 casi in più rispetto all’intera durata del 2010, mentre oltre 65 giornalisti sono stati posti in stato di fermo o agli arresti.
Siamo ancora molto lontani dalla "società più giusta" cui anela il Papa. Ma non c’è altra strada possibile se non quella di una faticosa transizione. In attesa che la grande saga dei Castro si concluda.