martedì 14 giugno 2022
Dal Ministero della Salute la fotografia degli aborti nel primo anno della panedmia: calo continuo, con un parallelo aumento del ricorso all'aborto con Ru486 e una crescita di ellaOne e Norlevo
Aborti al minimo (comunque, 66mila), pillole in forte crescita
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Meno aborti, più pillole abortive, meno obiettori, nessun problema strutturale nell’accesso alle interruzioni di gravidanza. In estrema sintesi, sono i dati salienti della Relazione annuale al Parlamento del Ministero della Salute sull’attuazione della legge 194, depositata dal ministro Roberto Speranza con una sua introduzione che dettaglia gli aspetti più rilevanti e attuali. Vediamoli, punto per punto.
Gli aborti
Continua la diminuzione nel numero complessivo delle interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg), al minimo storico con 66.413 aborti nel 2020, con una diminuzione del 9,3% rispetto ai 73.207 aborti del 2019 (a sua volta, il calo era stato del 4,1% sul 2018). La parabola discendente iniziò dopo il record del 1983 (234.801 casi), con lo sfondamento al ribasso della soglia dei 100mila aborti nel 2014. Il fenomeno si spiega sia con il calo demografico sia con l’accresciuto consumo di "pillole del giorno dopo" (Norlevo) o "dei cinque giorni dopo" (ellaOne), catalogate come "contraccettivi d’emergenza" ma che per il loro potere antinidatorio producono il mancato impianto nell’utero dell’embrione eventualmente appena formato e dunque un aborto precocissimo quanto inavvertito. I 66mila aborti certificati, per quanto minimo storico, equivalgono comunque a 182 al giorno e a una città di medie dimensioni (come Massa e Viterbo) mancata all’appello in un solo anno.
La pillola abortiva
È il fenomeno più rilevante che emerge dalla relazione, con un eclatante +11% in due anni: «Prosegue l’aumento del ricorso all’aborto farmacologico – si legge nel dossier ministeriale –: nel 2020 il Mifepristone (la Ru486 vera e propria, ndr) con successiva somministrazione di prostaglandine è stato adoperato nel 31,9% dei casi, rispetto al 24,9% del 2019 e al 20,8% del 2018». Interessante anche il riscontro territoriale, una mappa estremamente variegata: «Si passa dall’1,9% del Molise a oltre il 50% in Piemonte, Liguria, Emilia Romagna e Basilicata». Un trend in rapida evoluzione complice anche la pandemia (i dati 2020 ne fotografano gli effetti), che ha scoraggiato l’accesso agli ospedali e incentivato l’aborto "domiciliare", come un po’ in tutto il mondo.
Le altre pillole
I dati parlano chiaro: «Si può ipotizzare che l’aumento dell’uso della contraccezione d’emergenza (...) abbia inciso positivamente sulla riduzione del numero di Ivg», ma è proprio l’uso crescente di farmaci dall’elevato contenuto ormonale che rende «indispensabile una corretta informazione per evitarne un uso inappropriato». Notazione importante, visto che tre determine consecutive dell’agenzia del farmaco Aifa avevano tolto in rapida successione l’obbligo della ricetta medica: 2015 EllaOne per le maggiorenni e nell’ottobe 2020 anche per le minorenni, 2016 per il Norlevo. I dati parlano di 289.503 scatole di Norlevo nel 2020, in calo sul record di 325.690 del 2019 complici i lockdown. Per ellaOne il trend è invece in crescita continua: 266.567 nel 2020 contro le 145.101 di soli cinque anni prima (e 259.644 del 2019).
Gli effetti della pandemia
Utile registrare la smentita sostanziale del Ministero, dati alla mano, delle insistite polemiche (di cui anche Avvenire si occupò) di quanti sostenevano che gli ospedali avessero limitato i servizi abortivi "negando" l’interruzione di gravidanza: un argomento polemico per spingere verso l’uso sempre più largo della Ru486, che relega le donne nella solitudine di un aborto lontano dalla struttura e dal personale ospedaliero. Inserendo «l’interruzione volontaria di gravidanza tra le prestazioni indifferibili in ambito ginecologico» il Ministero ha fatto sì che il servizio non si fermasse. E oggi la relazione afferma che «tutte le Regioni hanno reagito prontamente alla situazione» e «i servizi hanno riorganizzato opportunamente i percorsi Ivg con l’obiettivo di garantire le prestazioni (effettuazione dell’Ivg solo in alcune strutture, percorso separato per le donne Covid-19 positive richiedenti Ivg, etc.)».
Obiezione di coscienza
Infondato appare, dalla lettura della relazione, anche il ricorrente allarme su presunti ostacoli all’aborto per un numero di obiettori giudicato eccessivo. Anzitutto c’è un calo ormai da alcuni anni nel numero di ginecologi obiettori: nel 2020 sono stati il 64,6% del totale (erano il 67% l’anno prima), il 44,6% tra gli anestesisti (in lieve aumento: erano il 43,5 nel 2019) mentre il 36,2% del personale non medico segna un calo rispetto al 37,5% dell’anno precedente. Ma il dato che documenta la realtà è quello relativo ai carichi di lavoro per ogni non obiettore: «La rilevazione ad hoc effettuata dal Ministero evidenzia che nel 2020 il carico di lavoro medio settimanale di ogni ginecologo non obiettore è variato di poco rispetto agli anni precedenti». In dettaglio: «Considerando 44 settimane lavorative in un anno, il numero di Ivg per ogni ginecologo non obiettore è in media a livello nazionale pari a 1,0 Ivg a settimana, dato in leggera diminuzione». Un aborto a settimana per ogni ginecologo non obiettore, e sempre meno: ecco la realtà, che chiude ogni questione. E i disservizi di cui si è parlato anche recentemente? Ascrivibili a problemi di funzionamento locali: «L’organizzazione dei servizi Ivg – chiarisce il Ministero – deve essere tale che vi sia un numero di figure professionali sufficiente da garantire alle donne la possibilità di accedere all’interruzione volontaria di gravidanza. Questo dovrebbe essere garantito dalle Regioni». Dunque il problema non è l’obiezione ma l’organizzazione regionale del servizio. Peraltro, «sono in diminuzione i tempi di attesa tra rilascio della certificazione e intervento (possibile indicatore di efficienza dei servizi)» mentre «il numero totale di sedi ospedaliere (stabilimenti) delle strutture con reparto di ostetricia e/o ginecologia, nel 2020, risulta pari a 560, mentre il numero di quelle che effettuano le Ivg risulta pari a 357, cioè il 63,8% del totale». Abortire in Italia dunque non è un problema, come peraltro si evince dai 66mila aborti totali: sempre meno, ma tutt’altro che pochi.
Donne straniere
Prosegue il processo di allineamento delle abitudini in fatto di aborto con le donne italiane: «Dopo un aumento importante nel tempo – spiega il report – le Ivg tra le donne straniere si sono stabilizzate e negli ultimi anni hanno mostrato una tendenza alla diminuzione. Nel 2020 le Ivg effettuate da donne straniere rappresentano il 28,5% di tutte le Ivg (valore inferiore al 29,2% rilevato nel 2019)». Importante il dato chiave del tasso di abortività: tra le straniere diminuisce ma comunque si assesta a 12 aborti per 1.000 donne in età fertile nel 2020, contro il 5,4 della media nazionale (uno dei dati «fra i più bassi tra quelli dei Paesi occidentali»: era il 6,7 nel 2019, col picco del 68,5 nel 1982), una discesa netta dal 17,2 del 2014. «Le cittadine straniere – nota il Ministero – permangono, comunque, una popolazione a maggior rischio di abortire rispetto alle italiane: per tutte le classi di età le straniere hanno tassi di abortività più elevati delle italiane di 2-3 volte».
Minorenni
Il tasso di abortività nel 2020 è sceso a 1,9 aborti ogni 1.000 adolescenti – era 2,3 nel 2019 – «confermando un trend in diminuzione a partire dal 2004 (quando era pari a 5)». In termini assoluti gli aborti tra le minorenni nel 2020 sono stati 1.602, «pari al 2,4% di tutte le Ivg, dato in diminuzione rispetto al 2019, quando erano il 2,6% del totale. Come negli anni precedenti – registra la relazione – si conferma il minore ricorso all’aborto tra le giovani in Italia rispetto a quanto registrato negli altri Paesi dell’Europa occidentale».

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