venerdì 22 settembre 2023
Una piccola battaglia vinta dalla famiglia della giovane, affetta da una malattia rara ma che i giudici non hanno autorizzato a curarsi all'estero: rese pubbliche l'identità e la città in cui viveva
Sudiksha Thirumalesh, la 19enne morta in Inghilterra dopo una luna battaglia giudiziaria

Sudiksha Thirumalesh, la 19enne morta in Inghilterra dopo una luna battaglia giudiziaria - Foto dal suo profilo Facebook

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Si chiamava Sudiksha Thirumalesh la 19enne affetta da una malattia rara morta lo scorso 12 settembre in seguito alla decisione dell’Alta Corte britannica di negarle l’autorizzazione a un trattamento sperimentale in Canada.
L’identità della giovane, che si è battuta in tribunale fino all’ultimo in nome del diritto alla cura, è stata tenuta nascosta durante tutto l’iter processuale. Secretata da una rigidissima (quanto inusuale) ordinanza disposta dai giudici a tenere basso il profilo del caso. Per più di un anno alla stampa è stato proibito fare accenno anche all’ospedale in cui era ricoverata. Il vincolo di riservatezza è stato sciolto grazie alla famiglia che ha chiesto e ottenuto dai magistrati il permesso di raccontare i dettagli della sua storia. Bisognerà aspettare la prossima settimana per sapere anche il nome della struttura che l’aveva presa in carico e in cui è spirata.
«Nonostante il dolore in cui viviamo – hanno commentato in una nota il papà Hemachandran, la mamma Revathi e il fratello Varshan – una parte di noi è finalmente in pace. Lei era Sudiksha Thirumalesh. Non ST. Una figlia e una sorella meravigliosa che ameremo per sempre».
Della ragazza si sa adesso che abitava a Birmingham, nelle Midlands, e che era cristiana. L’anomalia del Dna mitocondriale di cui soffriva era la stessa diagnosticata a Charlie Gard, il bambino morto nel 2017, a neppure 12 mesi, dopo il “no” alle cure all’estero imposto “nel suo migliore interesse” dalla magistratura contro il volere della famiglia.
Sudiksha, che è sempre stata cosciente della gravità della sua malattia, aveva organizzato una raccolta fondi con cui intendeva pagarsi le cure sperimentali in Canada. Ma per l’ospedale in cui era ricoverata da un anno era inutile perché «stava morendo attivamente». Lo scorso 25 agosto la giudice Jennifer Roberts ha deciso che la giovane, lucida e perfettamente in grado di parlare, era mentalmente incapace di prendere decisioni per sé stessa perché non credeva ai medici. Il mantra che la diciannovenne andava ripetendo – «voglio morire cercando di vivere» – era in sostanza passato come un delirio. Per lei era tempo solo di cure palliative che avrebbero significato anche la sospensione della dialisi. È spirata il 15 settembre, poco prima dell’udienza di appello. I genitori vogliono portare avanti il ricorso, anche se Sudiksha non c’è più, perché la sentenza sul suo caso potrebbe fare giurisprudenza e dare una speranza ad altri pazienti.
Secondo Andrea Williams, dell’associazione Christian Legal Center che sostiene la famiglia, l’«inquietante» caso della studentessa di Birmingham dimostra «l’urgente necessità di revisione» dei sistemi giudiziari e sanitari britannici.

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