Dal meeting annuale della Società internazionale per la ricerca sulle cellule staminali a Boston arriva l’annuncio che sarebbero stati realizzati embrioni umani sintetici a partire da cellule staminali embrionali, senza ricorrere a ovociti e spermatozoi, dunque senza alcun concepimento.
A conseguire questo risultato, preparato da anni di ricerche sugli embrioni di topo, è stata Magdalena Ernicka-Goetz, dell'Università di Cambridge e del California Institute of Technology, che ha voluto realizzare un modello il più possibile simile all’embrione umano nelle prime fasi dello sviluppo per studiare le malattie genetiche e le cause biologiche degli aborti spontanei. I simil-embrioni umani sviluppati non hanno un cuore pulsante né un cervello e non sarebbero destinati a essere fatti evolvere durante una gravidanza per far nascere un “bambino sintetico”, che peraltro pare impossibile proprio per le caratteristiche di quel che si è creato in laboratorio.
E proprio questo è il primo punto fortemente problematico: cosa è stato realizzato dall’équipe di Magdalena Ernicka-Goetz? Non si può definire embrione umano, ma è stato ottenuto da cellule embrionali: dunque una creatura che non esiste in natura ma che è riconducile al patrimonio genetico delle cellule da cui è stato ricavato. Si tratta dunque di un esperimento che genera un’entità definita dai media come embrione sintetico perché non esiste un nome che le si possa dare. E se è un qualcosa di nuovo che non si può definire umano, allora è brevettabile, come ogni nuova creazione dell'ingegno: stiamo dunque producendo l’homunculus, un essere umano artificiale che integralmente umano non è? E se non è umano, qual è la sua natura?
Una seconda domanda di portata proporzionale a questa è chi garantisce che a nessuno, oggi e in futuro, venga in mente di “provare a vedere” cosa succede andando oltre la soglia di sviluppo raggiunta (due settimane). Infine, se lo pseudo-embrione non è identico all’embrione umano del quale si vorrebbero capire meccanismi e patologie sinora indecifrabili, come si potranno ritenere attendibili i risultati di eventuali ricerche?
Avvenire si è occupato nel tempo più volte delle ricerche della 60enne biologa polacco-britannica sugli embrioni, arrivando sempre alla stessa conclusione: cosa si sta cercando, esattamente? Vale la pena aprire questo vaso di Pandora, in termini di benefici nelle conoscenze scientifiche rispetto all’assoluta incertezza della terra di nessuno nella quale ci si sta spingendo? La natura umana non va tutelata con ogni attenzione dalla comunità scientifica che la vuole giustamente conoscere sempre meglio, sapendosi fermare davanti alla soglia oltre la quale si finisce di necessità a creare nuove forme di vita para-umana del tutto ignote e imprevedibili? In attesa di chiarimenti sull’annuncio (la ricerca non è stata ancora pubblicata su alcuna rivista scientifica), è necessario aver presenti tutte le domande che si aprono davanti alla nostra coscienza.