«Analfabeta di ritorno» sarà lei, cara signora Natalia Aspesi, che su La Repubblica di venerdì 16 ha scritto una specie di sperticato “elogio” dei gay, arrivando a insultare quelli che non la pensano come lei, comprese «tutte le coppie che, in chiesa o in municipio, hanno potuto sposarsi per il solo fatto di essere un uomo o una donna». Il «solo fatto», afferma! Lei, che scrive di «monotoni prelati senza fede» e innalza il peana delle coppie di persone dello stesso sesso che «sono sempre meno litigiose di tante etero e, non potendo, per ora, far l’errore di sposarsi, non gli viene neppure in mente di divorziare» mentre le «unioni benedette da parroci e sindaci, e anche da vescovi, sono composte da un marito che cornifica la moglie anche con giovanotti, da una moglie che perde la casa giocando d’azzardo, e da figli presi regolarmente a ceffoni o spinti a partecipare tutti dipinti a gare canore tivu». I gay, invece, sarebbero “la meglio gioventù” e – sentenzia lei – «hanno il diritto di pretendere un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata». «Omogeneo»? Forse che i gay non appartengano più a un “altro genere” rispetto a quello maschile e femminile? Anche il professor Carlo Rimini (ma da persona civile e rispettosa del prossimo) parla di «diritti dei gay», suggerendo, su La Stampa, di «non utilizzare la parola matrimonio». Quali diritti? Ecco il suo elenco: consenso alle terapie, comunione dei beni, assegni di mantenimento «dopo l’eventuale crisi della convivenza» (ma a che servirebbe, se Aspesi assicura che i gay non divorziano?), infine diritti successori. A me pare la solita storia dei “diritti in più” che nessuno pensa, però, di attribuire anche a due fratelli o a due amiche (immaginiamo due pensionate) che vivono insieme per affetto amicale e/o per convenienza economica. Ecco solo alcuni tra i problemi connessi a certe sentenze a senso unico (che in Cassazione si fanno “creative”).
DIRITTO PROLIFICO
”Diritto” è ormai una parola prolifica. I nuovi “diritti” nati in questi ultimi anni sono una schiera e tutti catalogabili nella categoria dei cosiddetti “diritti civili”, che poi sono, in genere, incivili e opposti ai diritti dell’uomo. Esempio principale: l’aborto volontario, che da delitto è diventato diritto (così l’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi) e, come conseguenza del potere sul concepito, ha prodotto il “diritto al figlio” (anche se i diritti sulle persone equivalgono a schiavitù). Da ricordare poi il connesso «diritto di procreare» di cui Repubblica trattava martedì 13; i diritti ad autodeterminazione (aborto, suicidio, eutanasia), contraccezione, procreazione artificiale, manipolazione degli embrioni, divorzio, droga, a scegliere e a mutare il proprio genere, i diritti sessuati, sessuali e dell’omosessualità. Diritti cui non corrisponde alcun obbligo, se non quello dello Stato di realizzarli. A nostre spese.
NESSUNA DIFFERENZA
Su l’Unità (martedì 13) e rispondendo a un lettore, lo psichiatra Luigi Cancrini cerca di allontanare dallo schieramento abortista il fantasma di un diritto anche all’“aborto postnatale” (uccisione del neonato) che, essendo «perfettamente speculare» a quello prenatale, dimostra l’assurdità dell’aborto. Cancrini, però, si limita a parlare di «senso comune», ma che differenza c’è tra un bambino da nascere e uno già nato se non, come dice appunto il senso comune, il momento di venire alla luce?
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