mercoledì 11 marzo 2015
Il commento di Giovanna Zavatti alle prime due cantiche dantesche in Con Dante. Dall'Inferno al giardino dell'Eden (Book Time, pp. 144, euro 14) non è meramente letterario, perché il viaggio di Dante nell'Aldilà non è solo letteratura, bensì percorso esistenziale che Zavatti interpreta secondo la Psicosintesi di Roberto Assagioli.Nessun esoterismo, per carità. Assagioli (1888-1974) rielaborò la psicanalisi freudiana secondo una concezione dell'uomo non riducibile all'inconscio e agli istinti, prendendo invece in giusta considerazione la spiritualità e l'apertura al trascendente che caratterizzano l'umano. In compagnia di Zavatti, quindi, il viaggio di Dante diventa anche un viaggio alla scoperta di sé, in cui il lettore è chiamato a confrontarsi con il male e il bene che avverte nella coscienza, senza paura di chiamare con il loro nome gli impulsi e le tendenze che lo fanno vergognare, ma anche senza spegnere la luce che tuttavia balugina laggiù.Personalmente preferisco la "linea petrarchesca" della poesia e, con il dovuto rispetto per il sommo poeta, mi ha sempre infastidito la sua presunzione di anticipare il Giudizio universale mandando all'Inferno chi gli stava antipatico. Vero è che, passeggiando nella cornice purgatoriale dei superbi, Dante ammette che, a suo tempo, dovrà anch'egli sostare colà, ma già il prevederlo indica poca disponibilità a ravvedersi.Sul punto, tuttavia, l'accompagnamento di Zavatti è illuminante. Nel Canto VIII dell'Inferno avviene l'imbarazzante incontro con Filippo Argenti: Dante si rallegra di vederlo dannato e lordo di fango, e Virgilio lo loda per il perdurante rancore verso l'antico nemico. Zavatti spiega: «Se il viaggio nelle viscere della Terra è un viaggio nei nostri istinti, nei recessi del nostro inconscio, è essenziale riconoscere e portare alla luce i nostri impulsi rimossi o repressi». Il vedere il nemico, già morto e dannato, «è una soddisfazione simbolica che non può danneggiare l'altro, ma può scaricare la tensione di Dante». La sua aggressività latente «ha trovato le parole, si è espressa, si è sfogata», la catarsi è compiuta: «Basta un verso, come un tergicristallo, in un attimo a portare via tutto: "Quivi il lasciammo, che più non ne narro"».Zavatti è severa verso la compassione che solitamente il lettore prova nei confronti di Francesca che, in fondo, ha peccato "per amore". Di fatto, «Francesca è la creatura umana che ha costretto quell'universo a cui era destinata entro i confini di un bel corpo. Nessun Dio la confina nella bufera infernale, è lei stessa che vi si confina. Per mancanza di autoconoscenza, di vera educazione». Con questa ulteriore precisazione: «Se c'è forse qualcuno sul banco degli imputati in questo canto, è quella letteratura, quella cultura che esaltava la passione erotica e la mitizzava. Che, ieri, nobilitava e faceva sognare attraverso storie di nobili cavalieri e di splendide regine e, oggi, contrabbanda il sesso e i soldi come il fine e il Paradiso per l'essere umano».Al termine della salita sulla montagna del Purgatorio, Dante viene rimproverato da Beatrice non tanto per essersi interessato ad altre donne, ma per aver impostato la sua vita sull'autosufficienza della ragione. Zavatti conclude: «Dante non rinnega certo razionalità e filosofia, che riconosce necessarie e indispensabili, ma a patto che non si chieda loro ciò che loro non possono dare, credendo di poterle sostituire alla verità rivelata da Cristo». Tornare a Beatrice «sarà dunque andare oltre il sapere strettamente intellettuale, oltre l'acquisito, il già conosciuto, sarà coltivare l'intuizione, sarà riconoscere la scintilla divina dentro di noi e ascoltare, nel silenzio, la sua voce e manifestare quella luce e quell'amore che Dio creatore le ha donato». Sono curioso di vedere come Giovanna Zavatti se la caverà commentando il Paradiso.
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