Nel centenario della loro nascita vorrei ricordare qui due scrittori di primissimo piano della nostra letteratura di fine Novecento, Giovanni Giudici (1924-2004) e Paolo Volponi (1924-1994). Purtroppo la poesia del primo e la narrativa del secondo sono ormai sottovalutate o perfino dimenticate. Nonostante la notevole differenza di età (venti anni) sono stato amico di entrambi dopo averli letti fin dai loro tardivi esordi negli anni sessanta. Generosamente, sia l’uno che l’altro, con l’umiltà dei veri scrittori, arrivavano a volte a farmi leggere quello che avevano appena scritto, chiedendomi di eliminare le cose che secondo me non andavano. Naturalmente ero in grande imbarazzo e non mi pare di essermi mai permesso di proporre loro dei tagli. Nel 1965 avevo letto con entusiasmo sia La vita in versi di Giudici che La macchina mondiale di Volponi e fin da allora, nel corso di tutta la loro successiva attività di scrittori, li avevo scelti in alternativa, se non in contrapposizione, a Zanzotto e Calvino, il cui successo sembrò garantito ed era sempre più enfatizzato dalla critica accademica. Mentre la poesia di Zanzotto sviluppava in senso linguisticamente sperimentale l’eredità dell’Ermetismo, Giudici era invece un poeta autobiografico e realistico, secondo il grande esempio di Umberto Saba. La sua poesia si fondava sul presupposto dell’onestà confessionale e del “mettere la vita in versi”, cosa che richiedeva quella perizia metrica che sorprende in molte sue poesie. Volponi d’altra parte affrontava narrativamente, da Memoriale (1962) e Corporale (1974) in poi, il mondo del lavoro di fabbrica, il rapporto fra razionalità sociale e utopia, fra intuizioni visionarie e fisicità biologica. Il suo realismo non si fermava mai alla superficie, ma spingeva il racconto al di là dell’immediato nell’esplorazione del potere distruttivo che la società industriale e capitalistica esercita in un paese di lunghissime tradizioni culturali e artistiche come l’Italia. Né Volponi né Giudici incoraggiano le analisi formalistiche. Per capire il valore dei loro libri bisogna essere interessati al rapporto fra letteratura e realtà.
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