Nel romanzo di Alfred Bertram Guthrie Queste mille colline (Mattioli 1885) la vicenda di Lat Evans assomiglia alla parabola esistenziale del figliol prodigo narrata dall’evangelista Luca. Una redenzione finale che però il protagonista sembra quasi contrastare nella sua frequentazione insistita con la prostituta Collie, di cui è invaghito, scelta poi riscattata dalla decisione, non scontata, di testimoniare in tribunale in suo favore, mossa con la quale Lat si autodenuncia, sentimentalmente parlando, davanti alla moglie Joyce. Con questa ammissione Lat vince la coltre di perbenismo e borghesismo di facciata dietro cui si era nascosto, ammettendo la propria inadeguatezza ma al contempo trovando nella fede cristiana una leva per cambiare vita. Infatti, ad un certo punto, pur continuando a frequentare il bordello di Collie, riprende a frequentare la chiesa metodista nella quale i genitori lo avevano educato. E in un dialogo con la prostituta preferita ammette: «“Mi dispiace essere arrivato qui così tardi. Ero in chiesa”. “Oh?” disse lei, e quella singola parola conteneva una domanda enorme. “È stato come tornare a casa”. Lei respirò lentamente. “Ti piaceva quando eri lì, vero, Lat?” “Credo di sì. Sì, mi piaceva”. “Avevi una casa”». Una chiesa che è una casa. In Evangelii gadium Francesco ha definito la Chiesa così: «Non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa».
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