Postato il 30 settembre, l'ultimo video di don Luigi Maria Epicoco sul canale YouTube “Sangabrieledol” aveva già superato ieri le 16mila visualizzazioni. Non è un'eccezione: ciascun filmato tende inesorabilmente a conseguire, al massimo nel giro di una settimana, risultati analoghi. Non mi stupisce che accada per i contributi brevi: estratti di pochissimi minuti da sue precedenti catechesi, adatti anche a essere fruiti fuori dal loro contesto.
Ma la stessa risposta giunge per i contributi lunghi intorno all'ora: lezioni, conferenze, riflessioni che il presbitero tiene in giro per l'Italia e che non hanno altra attrattiva per l'utente se non quella dei contenuti. Spesso sono riprese effettuate con una camera fissa; talvolta la distanza è tale che si fatica a vedere il volto dell'oratore, e talaltra si ode solo la voce, accompagnata da un semplice cartello. Non si tratta dunque di produzioni destinate alla Rete, ovvero in nessun modo don Epicoco potrebbe essere definito, in senso stretto, un prete youtuber. E neppure un prete social: la sua pagina Facebook (114mila follower) vive dei quotidiani commenti al Vangelo del giorno, presenti anche sul sito collettivo “Nella Parola”, dell'annuncio dei suoi impegni pubblici e dei link al “Sangabrieledol”; abbastanza rari invece sono i post di diverso tipo. Ancora meno pronunciati appaiono i profili Instagram (25mila follower) e Twitter (4mila follower).
Lui stesso, lo scorso giugno, a Danilo Poggio che lo intervistava qui su Avvenire il giorno della nomina ad assistente ecclesiastico del Dicastero per la comunicazione, ha detto: «Non ho iniziato a lavorare sui social con l'intento di divulgare», aggiungendo di aver aperto un primo profilo Facebook dopo il terremoto dell'Aquila (2009), e poi di aver iniziato a registrare piccoli video, finché «tutto è diventato virale, e molti hanno iniziato a seguire. Il merito, però, non è il mio: è il Vangelo a essere virale...».