Con due aperture simultanee, La Lettura del Corriere e Robinson di Repubblica affrontano un tema che torna di attualità: non la fine del mondo, ma la fine del genere umano. La decisione di fare ingresso nel “postumano” sembra proprio che sarà una decisione che prenderanno le macchine in persona. Il futuro è loro. Il dio Progresso impone che il genere umano prenda congedo da se stesso, dato che è così pieno di difetti. Ci sarebbe una sola ragione per lasciare gli umani come sono e non imporre loro di andare oltre se stessi mettendosi nelle mani delle macchine: questa ragione è molto antica, perché si tratta niente meno che dell'esistenza dell'anima. Molti ci sono affezionati e non vogliono rinunciarci, mentre molti altri, che potrebbero diventare maggioranza, preferiscono sostituirla con un algoritmo e diventare delle macchine intelligenti. Il punto problematico e controverso è questo: la mente è legata indissolubilmente all'anima, con tutto ciò che di complesso, profondo, misterioso e perfino sacro questo legame comporta; o
invece la mente umana in sostanza non è altro che un computer, un calcolatore, un software da riprogrammare perché non si permetta più di fare errori umani di calcolo quando prende decisioni? Le scelte giuste di un individuo sono il risultato di un calcolo senza errori, o sono invece il prodotto non programmabile di sensibilità, esperienze, ricordi, carattere, cultura, consapevolezza, volontà, immaginazione, coraggio e paura? Better than Human e To Be a Machine sono i titoli di due libri discussi e che di per sé dicono già molto. Diventare una macchina per essere meglio che umani, è un desiderio che si sta diffondendo? L'articolo più interessante fra quelli pubblicati dai due supplementi mi è parso quello (su Robinson) dell'oggi novantacinquenne Henry Kissinger, genio geopolitico non senza peccati gravissimi, che guidò la politica estera americana negli anni settanta. Kissinger si è deciso tardivamente a studiare che cos'è e che cosa promette l'Intelligenza artificiale e in conclusione si è molto spaventato. Secondo lui, non si può chiamare intelligenza proprio perché è artificiale. È insomma il contrario della ragione illuministica che più di due secoli fa ci chiedeva di “osare pensare”. Il calcolo non è pensiero, è solo una delle sue funzioni, benché a volte utile. Ma se un calcolatore deciderà che cosa è bene pensare e che cosa no, sarà peggio, molto peggio di un dittatore umano perché comanderà senza essere soggetto a giudizi morali e politici. Chi saranno i colpevoli umani di delitti “innocentemente” compiuti da macchine intelligenti?
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