Per causa del diabete, Carlo Levi pittore e scrittore ebbe un distacco della retina che lo costrinse a lungo in uno stato di semi-cecità. Ne nacque Quaderno a cancelli, ampia riflessione su cosa sia la vista e cosa invece il non vedere. Ultimo libro scritto, e che l’autore non ebbe tempo né modo di rileggere: denso, enigmatico e martellante come sanno essere le ossessioni. I “cancelli” del titolo erano oggetti concreti: sponde ai margini della pagina dallo stesso Levi, in analogia con il telaio, realizzate sotto forma di cordicelle tese tra bordi in legno, così da contenere e guidare il movimento della mano e della penna. Una disciplina di autocostrizione che diede vita a stili diversi, di prosa e di poesia. In uno degli inserti poetici, scrive della distinzione tra visione monoculare e un altro vedere invece doppio. La prima visione, quella con un occhio solo, capace di restituire una realtà piatta, senza dimensioni, solo fattuale. «Ma se aggiungi un altro occhio, la doppia visione diventa una e tripla» è aggiunto. Con due occhi la realtà torna a essere tridimensionale, ricca di oggetti, sfondi, «liberamente e perfidamente prospettica». Che tale idea sia sorta nella nebbia di un fiochissimo vedere, commuove: pagine in cui vibra la nostalgia del reale, della complessità che è di ogni “messa in prospettiva”.
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