Tra le firme e il quorum referendum da riformare
domenica 6 ottobre 2024
La possibilità di firmare per i referendum anche in forma digitale – divenuta operativa alla fine dello scorso luglio – è destinata a cambiare profondamente l’utilizzo di questo istituto di democrazia diretta. Il potenziale impatto di questa novità è stato subito evidente con la raccolta delle firme per il referendum sulla cittadinanza: in meno di un mese è stata superata la soglia delle 500mila sottoscrizioni richieste dalla Costituzione per promuovere una consultazione popolare abrogativa. Il che ha riaperto il dibattito sulla congruità di questa soglia, di cui si discute ormai da anni. Nel dibattito alla Costituente era stato inizialmente previsto che occorresse un ventesimo degli elettori, che all’epoca erano poco più di 28 milioni. Quindi sarebbero state necessarie oltre un milione e 400mila firme. Ma alla fine del percorso ci si attestò su quota 500mila come sostenuto da coloro che non volevano affossare in partenza l’istituto referendario, compreso il relatore Costantino Mortati, il grande costituzionalista di area dc a cui si deve un contributo decisivo per introdurre nella Carta – il cui impianto è chiaramente parlamentare – alcuni strumenti di democrazia diretta. I padri costituenti erano nel complesso piuttosto diffidenti, si usciva da una stagione tragica in cui i regimi dittatoriali avevano spregiudicatamente cavalcato forme plebiscitarie di raccolta del consenso. Lo stesso Mortati raccomandò di far tesoro della cattiva prova data dal referendum in Germania al tempo della Repubblica di Weimar, adottando misure appropriate per il buon funzionamento di questo istituto. Rispetto alla popolazione attuale, comunque, la soglia delle 500mila firme appare obiettivamente inadeguata e si moltiplicano le proposte per innalzarla. Inadeguato appare anche il quorum di votanti richiesto perché la consultazione risulti valida. Nei lavori della Costituente, in una prima formulazione era stato proposto un quorum pari ai due quinti (dunque il 40%) degli aventi diritto. Il tetto fu poi innalzato fino alla maggioranza assoluta e così compare nel testo dell’art.75 della Costituzione. Ma allora l’affluenza alle urne era su livelli elevatissimi. Oggi, con il tasso di astensionismo elettorale a cui siamo arrivati, la soglia del 50% più 1 è diventata un ostacolo quasi insormontabile. Gli ultimi referendum validi in termini di partecipazione risalgono al 2011. Ecco perché tra le ipotesi di riforma di cui si dibatte c’è anche quella di calcolare il quorum non sugli aventi diritto, ma più realisticamente sui votanti delle ultime elezioni politiche. Il rischio da evitare è di ritrovarci da un lato con una valanga di richieste referendarie, stante la relativa facilità della raccolta delle firme, e dall’altro con il sistematico svuotamento della mobilitazione per il mancato raggiungimento del quorum. Il referendum ha urgente bisogno di un equilibrato intervento di manutenzione. È uno strumento prezioso anche come forma di bilanciamento di un potere esecutivo che, premierato o no, è già divenuto preponderante nel sistema. Mortati lo collocava nella categoria delle “controforze”, rese necessarie “per temperare l’assolutezza del dominio da parte delle formazioni politiche di maggioranza”. E scriveva queste parole nel 1957. © riproduzione riservata
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