Ho ripreso in mano, traendo spunto da una "lettura" che gli aveva dedicato Gianfranco Piacentini, i Microcosmi di Claudio Magris. Piccoli mondi, o compendi dell'universo, nei quali si avvicendano e si intersecano realtà umane, animali, geografiche, insieme alle cose più disparate. Il «viaggio senza meta» di Magris, sull'«Arca di Noè di carta», «si perde, s'impiglia in relitti semisepolti che fanno incespicare, imboccare sentieri cancellati», e riporta sempre, ovunque e comunque, a fare i conti con se stessi, con la propria anima, e con la Medusa che vi mette radici. «Afferrarsi al legno, senza paura, perché il naufragio può essere pura salvezza. Come dice la vecchia storia? La paura bussa alla porta, la fede va ad aprire: fuori non c'è nessuno. Ma chi insegna ad aprire? Da tempo non si fa altro che chiudere porte…». Ma dietro le porte chiuse, nell'anonimato, «ci si può anche nascondere, scomparire: sbarazzarsi dell'io come una buccia». Consapevoli di non essere nella terra promessa, né di riuscire a raggiungerla, si può «continuare tenacemente il cammino nella sua direzione», attraverso il deserto, la laguna, il mare, le foreste, le radure, la campagna: «Pure quella confusione è bella, con le foglie accartocciate, i rami che si avvolgono e si avviticchiano come gli pare, e i fiori che splendono sul balcone prima di cadere in strada».
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