Amico di vecchia data, Renzo Sicco di Assemblea Teatro di Torino, organizza letture letterarie in reparti di oncologia. Mi manda la locandina della sua recente visita all’Ospedale San Luigi, intitolata: Leggere è una cura. Nelle città assediate, nei ghetti, nei luoghi di prigionia la letteratura ha salvato brandelli di tempo dal macero della pena. Pure in un corpo assediato dalla malattia può sospendere l’oppressione. Leggere è una cura? Non sono addentro alla medicina per rispondere con la necessaria precisione. Posso dire che non agisce da cura palliativa. Non attenua, non attutisce le percezioni, non frastorna. Invece la letteratura distoglie, trasloca la persona con il suo dolore in un altrove di tempo e di spazio. Allontana dall’ossessivo accerchiamento di se stessi, sposta in altri paraggi, sovrappone una sua storia a quella della persona sofferente. Senza produrre cura, salva una porzione di tempo. Il primo libro mi raggiunse quando non conoscevo ancora l’alfabeto. Me lo leggeva mia madre durante le alte febbri della scarlattina. Ascoltavo a occhi chiusi, la fronte sotto gli impacchi freddi. Quella storia, passando dalle orecchie, circolava nel corpo e mi portava dove voleva lei. Ho saputo allora che i libri portano lontano da se stessi e sono un tappeto volante.
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