«Sebbene il corso della vita possa sembrare predestinato, esso è comunque costantemente contrassegnato da cambiamenti dettati dalla volontà dell'uomo». Hermann Hesse arrivò a Montagnola, in Ticino, nel 1919, e sentì subito che lì poteva ricominciare da capo, una nuova vita. Vi trascorse gli ultimi quarant'anni, i più intensi. Ancora oggi quella terra, che ha dipinto in numerosi acquerelli, è la sua casa, e i visitatori gli lasciano omaggi sulla tomba. Passeggiando per i vialetti del piccolo cimitero, il giornalista e scrittore Carlo Zanda ha avvertito il fascino di un'esistenza racchiusa in un mosaico di volti, da quello di arguto lettore di Jung fino al volto, tormentato ma sorridente, di un Siddharta che indaga sull'ascesi religiosa dell'uomo contemporaneo. Da quella fascinazione è nato Un bel posticino, come Hesse chiamava il suo rifugio: un libro di testimonianze, ricordi e fotografie raccolte con passione e profonda comprensione. Uno dei capitoli è dedicato al giardino che Hesse coltivava sulla Collina d'Oro. Un giorno aveva spiegato al figlio Bruno che strappare le erbacce per lui non era per niente noioso: «Le mani sono occupate, ma la testa è libera». E gli aveva svelato un segreto: buona parte del Giuoco delle perle di vetro, il libro che gli valse il premio Nobel, era nata mentre estirpava le erbacce.
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