Con una certa enfasi Facebook mi segnala che i miei “amici” sono arrivati a mille: un ritmo di crescita che mi soddisfa, visto che promette di raggiungere la critica soglia di 4.999 già sul finire del 2033. Il mio profilo Facebook e questa rubrica, assai vicini per età, sono parenti stretti, direi fratello e sorella. L'uno fornisce all'altra spunti preziosi per ammorbidire uno sguardo sull'informazione ecclesiale digitale che, filtrato dai soli robot aggregatori, sarebbe troppo rigido e freddo; ne riceve in cambio la gran parte dei contenuti, giacché esso è pensato principalmente come specchio del mio lavoro. Non sarà dunque impertinente se rivolgo da qui, a questa famigliola sui generis che mi ritrovo nell'ambiente digitale, le tre parole che piacciono a papa Francesco – e anche a me – sentire usare in famiglia: «permesso», «grazie», «scusa».
«Scusa» per le volte in cui ho ferito o danneggiato qualcuno, e per le mie omissioni: perché non seguo il profilo di ciascuno come ciascuno meriterebbe, sono parco di «reazioni», vedo «per prime» le pagine pubbliche e non i profili personali, pur essendo debitore di tanti di essi ben più di quanto appaia dai crediti che riconosco. «Permesso» come un modo di comparire sugli smartphone altrui che vorrebbe essere rispettoso, discreto, non invadente. Gli «amici» che mi sono arrivati sono molti di più dei pochi che ho cercato anche perché ho piacere che chi mi segue lo faccia per scelta e non perché glielo chiedo; lo stesso criterio mi guida nell'accettare le richieste o nel rivolgerle. E infine «grazie» perché davvero questa comunità digitale è molto ricca, tanto che vorrei avere lo spazio e il tempo per raccontare a chi non la frequenta di ciascuno e ciascuna dei suoi membri, di come camminano – molti anche attraverso un lavoro e una vita simili ai miei – sulle vie del Signore, di quello che li angoscia... E soprattutto di quello che sperano.
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