In un romanzo famigliare, trovo che uno dei criteri più decisivi sia la verosimiglianza psicologica. Le geometrie complesse che sottendono a ogni nucleo di famiglia, sia esso felice oppure infelice, “sano” o invece “disfunzionale”, sia composto da membri i cui legami di parentela stretta si intessono da sempre o invece scaturiscono da scelte successive (nuove convivenze, adozioni, affidi). Come che sia, una storia che racconti di rapporti intimi di parentela stretta può convincere e anche coinvolgere un lettore solo se risulta del tutto verosimile. Ovvero narrata con voce non stonata, non costruita in modo artificioso, magari per voler dimostrare intenzioni di partenza come si trattasse di un teorema geometrico che date determinate premesse ottenga poi conseguenti risultati. Per essere verosimile, e quindi credibile, la storia di una famiglia è necessario sia ritmata dall’andatura spontanea propria di quella qualità di tempo che è della vita nella naturalità del suo scorrere, giorno dopo giorno. Verosimile, allora, significa anche un risultare denso della stessa densità che è di ogni ménage – composto dell’intreccio magmatico e quotidiano di buone intenzioni e di disfatte, di aspettative e di frustrazioni, di piccole gioie e martellanti dispiaceri, sordi o invece gridati. Ho pensato a questo, alla verosimiglianza che deve presiedere al racconto delle storie di famiglia, leggendo la storia narrata da Alessandra Sarchi nel suo Il ritorno è lontano (Bompiani, pagine 232, euro19,00). Una vicenda intima e delicata che parla di genitorialità e di maternità, di malattia, di apertura a forme nuove d’accoglienza: di amore ma anche di scoraggiamento, così come di quella particolare fedeltà al volere restare insieme, in famiglia, anche quando poco, o troppo poco, va per il verso giusto. Sarchi scandaglia le difficoltà dell’amore famigliare, nel mentre con sguardo attento riesce a raccontare la resilienza di chi decide di voler amare, e amarsi, nonostante le crisi e le difficoltà. Due genitori alle soglie dell’età matura, con desideri che si eclissano e altri, diversi, che si accendono; una giovane figlia appassionata militante della causa ecologica; un bambino suo neo-fratellastro, preso in affido, difficile, inaccessibile, estenuante. A ogni pagina gli equilibri sono fragili, lì a un passo dallo sconfinare nell’inverosimiglianza; ma la vicenda invece tiene, credibile per come vicina a come le cose per davvero potrebbero andare nella realtà. Verosimiglianza coincide così con un affezionarsi, da lettori, a dei protagonisti, come li si conoscesse: si
prendono le loro parti o invece ci si arrabbia con loro, se si fanno del male nel mentre ne fanno a chi è loro vicino. Per nulla scontato, e difficile da ottenere, simile onesto aderire alla profondità dei sentimenti famigliari anche quando questi sono ambivalenti, attraversati e appesantiti da dinamiche contrastanti. In nome di quel tratto verosimile, tanto contiguo alle esistenze per come nelle loro difficili trame accadono, si sviluppano, addivengono a nuovi assetti e inaspettate soluzioni, la vicenda di una famiglia allora si fa metaforica, e un romanzo si stampa nella memoria. «Il ritorno è lontano» recita un verso di
Franco Fortini da cui la scrittrice trae il suo titolo. Ma un ritorno, per chi legge, accade, ed è il ritorno a quel viluppo vibrante e complicato che vive in ognuno di noi, e il cui nome è: famiglia.
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