sabato 21 novembre 2020
Venerdì della scorsa settimana, il 13, si è celebrata la Giornata mondiale della Gentilezza. Se ne sono accorti in pochi, credo. Nulla di strano, probabilmente, visto l'affastellarsi una dopo l'altra di celebrazioni su tutto, quasi all'insegna del “non si nega una giornata a nessuno”. Nel caso in questione, tuttavia, è un peccato. L'origine del giorno dedicato alla gentilezza pare vada ricondotta al discorso d'addio con cui il rettore di un ateneo giapponese si congedò dai suoi studenti, negli anni Sessanta, esortandoli a coltivare sempre «l'arte della gentilezza» in quanto solo così «si può salvare il mondo», discorso che una trentina d'anni dopo avrebbe ispirato la nascita del movimento internazionale che nel 1998 ha portato all'istituzione della Giornata. Se le cose stiano davvero così non è certo; quello che invece è sicuro è che davvero questo nostro mondo avrebbe bisogno di più gentilezza. Siamo diventati irascibili, rancorosi, invidiosi, anche cattivi; per un nonnulla ce la leghiamo al dito, e questo Covid che ci assedia da quasi un anno di sicuro non ha facilitato le cose ma, al contrario, le ha ulteriormente esacerbate.

Di tanta gentilezza in più ci sarebbe veramente bisogno, insomma. E di una gentilezza non formale ma vera, profonda, capace di essere la vera cifra della nostra esistenza, dalla radice. Nel maggio del 2015, riprendendo un concetto già espresso varie volte a partire da Assisi due anni prima, Papa Francesco ricordò le tre parole che dovrebbero essere di guida alla vita di ogni famiglia: «“permesso?”, “grazie”, “scusa”... parole che aprono la strada per vivere bene, per vivere in pace... Noi le intendiamo normalmente come le parole della “buona educazione”... Un grande vescovo, san Francesco di Sales, soleva dire che “la buona educazione è già mezza santità”... Certe volte viene da pensare che stiamo diventando una civiltà delle cattive maniere e delle cattive parole, come se fossero un segno di emancipazione... La gentilezza e la capacità di ringraziare vengono viste come un segno di debolezza, a volte suscitano addirittura diffidenza. Questa tendenza va contrastata nel grembo stesso della famiglia. Dobbiamo diventare intransigenti sull'educazione alla gratitudine, alla riconoscenza: la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe da qui». Un'idea forte, che Bergoglio ha riproposto nell'Esortazione Amoris laetitia, e sulla quale ancora con più forza, allargandone l'orizzonte dalla famiglia al mondo, è ritornato nell'Enciclica Fratelli tutti, dove leggiamo che «l'individualismo consumista provoca molti soprusi... Tuttavia, è ancora possibile scegliere di esercitare la gentilezza. Ci sono persone che lo fanno e diventano stelle in mezzo all'oscurità... È un modo di trattare gli altri che si manifesta in diverse forme: come gentilezza nel tratto, come attenzione a non ferire con le parole o i gesti, come tentativo di alleviare il peso degli altri... La gentilezza è una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall'ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall'urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto a essere felici. Oggi raramente si trovano tempo ed energie disponibili per soffermarsi a trattare bene gli altri, a dire “permesso”, “scusa”, “grazie”. Eppure ogni tanto si presenta il miracolo di una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza». Papa Francesco ha titolato questo passaggio della sua ultima Enciclica “Recuperare la gentilezza”, che già dice tutto. A noi recuperarla nella vita quotidiana. E non per un solo giorno all'anno.
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