Non sono state poche le scommesse vinte da Rai 3 nel cosiddetto access prime time, lo spazio tra i tg e la prima serata. Dalla versione quotidiana di Che ci faccio qui di Domenico Iannacone al Che succ3de? con Geppi Cucciari, da Via dei Matti n° 0 a Riserva indiana ora in onda tutti i giorni dal lunedì al venerdì alle 20.15. In particolare questi ultimi due segnano il passaggio da un grande artista della musica come Stefano Bollani a un grande artista della parola come Stefano Massini, scrittore, drammaturgo e attore, che comunque non disdegna la musica, anzi in questo suo Riserva indiana, prodotto da Rai Cultura, il capo tribù ogni sera è un cantautore: Diodato, Malika Ayane, Luca Barbarossa, Vasco Brondi, Piero Pelù, Tosca, Motta… accompagnati da una band stabile composta da Jacopo e Matteo Carlini, Cristiano Micalizzi e Bruno Marinucci. Tra parole e musica l’intento di Massini (autore del programma insieme a Massimo Martelli con Rossella Rizzi, Paolo Biamonte, Mariano Cirino e la regia di Matteo Bergamini) è parlare un’altra lingua, come nelle 326 riserve indiane degli Stati Uniti d’America. Una lingua diversa da quella dei numeri e dell’intelligenza artificiale, una lingua delle parole, una lingua fatta di umanità, di racconti, di poesie, di canzoni per leggere la realtà in un altro modo. Impresa non facile, che Massini rende possibile con la sua arte oratoria e con la sua passione civile. Le storie che racconta sono lezioni di vita. Ascoltarlo è un piacere. Certo è che un programma del genere paga, per assurdo, lo scotto dell’alto livello culturale. Non a caso tutti i giorni, pur assestandosi su buoni ascolti cercando di intercettare un pubblico giovane come quello presente in studio, ma anche un pubblico più maturo, Riserva indiana perde dei telespettatori rispetto al programma che lo procede e che poi ricompaiono per quello che lo segue.
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