Recupero un bel film dell'anno scorso, «Genius,» storia della feconda collaborazione tra lo scrittore americano Thomas Wolfe e il suo grande editor Max Perkins. Inquieto, sregolato, strabordante, crudele, Wolfe interroga angosciosamente il collega Francis Scott Fitzgerald: «Pensi che fra 10, 100 anni si ricorderanno di me?».
Una preoccupazione, quella di non essere dimenticati, che non ho mai capito del tutto. Quello che vorrei, semmai, è lasciare qualche piccola buona traccia da seguire. Giusto qualche briciola di pane sul sentiero, sarebbe già molto. Che si facesse buon uso di quel poco che ho costruito.
Magari una nipote o bisnipote che portasse il mio nome – mi ci sono trovata abbastanza bene – e a cui piacesse una mia collana. Sarebbe già tanto.
Non che io non abbia paura. Ne ho tanta, accidenti. Ma so anche che dimenticarti di te non è solo un buon modo di morire. È anche il miglior modo di vivere.
Sapere che da solo non sei niente, non combini niente. Sciogliersi negli altri. Auto-obliarsi da subito.
Io non ci riesco, intendiamoci. Ci riescono solo i santi. Che paradossalmente proprio in forza di questo vengono ricordati per sempre. Ma non è nella nostra disponibilità.
Se dovessi dirlo in due parole: non dimenticarsi mai degli altri, perdonare l'altro, come ha detto qualcuno, di essere un altro, è il solo modo per non scomparire del tutto. Se proprio uno ci tiene.
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