giovedì 22 novembre 2018
Che la magistratura e il magistrato costituiscano una garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini, e che tale garanzia si fondi sull'indipendenza e la conseguente imparzialità dei medesimi nell'esercizio della funzione giurisdizionale, sono due dei postulati fondamentali dello Stato di diritto. Sotto questo profilo, affermare una funzione anche promozionale del magistrato in ordine ai diritti sembra quasi scontato. Dire “il” diritto e dire “i” diritti appaiono attività strettamente legate, e del resto l'esperienza storica dimostra che la battaglia per il diritto è sempre stata intrecciata con quella per i diritti, in un rapporto di corrispondenza biunivoca.
Nel nostro ordinamento costituzionale, il profilo dei diritti (inviolabili) si presenta strettamente correlato con quello dei doveri (inderogabili) di solidarietà, economica ma anche sociale e politica. Vi sono evidenze multiple che la focalizzazione sui soli diritti comporta una loro torsione individualistica, al cui esito i diritti stessi rischiano di avvizzire e di perdere quella connotazione universalistica che ne aveva costituito il punto di partenza. Età dei diritti e stagione dei doveri allora si sostengono reciprocamente, secondo l'intuizione, mai sufficientemente ripresa, di Aldo Moro. È possibile, proseguendo nel parallelismo, considerare la magistratura e il magistrato come promotori dei doveri? Questa domanda è al centro dell'annuale ricordo di Vittorio Bachelet proposto dall'Associazione che dal 1981 ne porta il nome, in programma oggi nella sede del Csm, alla presenza del Capo dello Stato. Sul tema, introdotti dal vicepresidente David Ermini e da chi scrive, si confrontano Vittorio Possenti (“Dai diritti ai doveri”), Luciano Violante (“Per una civiltà dei doveri: il ruolo del magistrato”) e Alberto Giusti (“Il giudice ordinario e il principio di solidarietà. Indicazioni giurisprudenziali”). Se è diffusa l'opinione secondo cui il magistrato non può dire il diritto affidandosi alle proprie opzioni di valore, ma deve trarre queste ultime dai princìpi costituzionali e dall'ordinamento giuridico, e dunque non può promuovere i doveri di solidarietà prescindendo da espresse abilitazioni costituzionali e legislative, più problematico è sia stabilire quanto dei principi di solidarietà possa essere trasfuso nell'attività giurisdizionale, sia soprattutto definire i presupposti per la loro accettazione da parte dei consociati.
Uno di tali presupposti, in un tempo nel quale sperimentiamo, insieme alla crisi della legislazione e della rappresentanza, anche la crisi delle istituzioni, confuse e sovrapposte con le élite, non può che essere l'adempimento, nella sostanza e nell'apparenza, dei propri doveri da parte del magistrato. Un monito caro a Bachelet.
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