Parlare male degli altri (la mal-dicenza) non è certo qualcosa di nuovo. Ma l'utilizzo dei social network come luogo per criticare, denigrare, diffamare o deridere qualcuno ha trasformato questa cattiva abitudine in qualcosa di devastante; ciò che veniva detto in segreto o sussurrato all'orecchio si moltiplica oggi in modo esponenziale e drammatico, con un'ulteriore aggravante: la possibilità dell'anonimato e la distanza fisica dall'altro rendono meno evidente la percezione chiara della responsabilità personale.
Ma cosa spinge a danneggiare qualcuno parlando male di lui?
La maldicenza è uno dei frutti di un'emozione al tempo stesso molto diffusa e molto incompresa, che agisce in maniera sotterranea nella nostra vita e crea difficoltà importanti sia nei rapporti personali sia in quelli sociali. Sto parlando dell'invidia, sentimento che raramente ammettiamo di provare, perché ritenuto sinonimo di grettezza e cattiveria d'animo. Ma come tutte le emozioni, anche il sentimento invidioso non è all'origine né buono né cattivo: si tratta invece di un doloroso moto della sensibilità personale, che produce il male quando ne ignoriamo o sottovalutiamo la forza; quando, incapaci di chiamarlo per nome e affrontarlo, lo assecondiamo nascostamente e lo coltiviamo nel cuore, magari mascherandolo a noi stessi con nomi più presentabili, persino legittimi o addirittura virtuosi, come ad esempio l'indignazione per ciò che riteniamo ingiusto.
Come per tutti i sentimenti "negativi" (che sono spesso inevitabili), solo la comprensione e l'accettazione permettono di integrare anche l'invidia nella nostra personalità, di contrastare in modo sano ed efficace i suoi effetti, e di lavorare per estirpare in modo costruttivo ciò che la alimenta.
Ma che cos'è l'invidia? La psicoanalista Melanie Klein, che le ha dedicato una importante pubblicazione, la definisce «un sentimento di rabbia perché un'altra persona possiede qualcosa che desideriamo e ne gode». L'invidia nasce dunque da un confronto tra ciò che possediamo e ciò che l'altro possiede: qualcosa che ci appare molto desiderabile e che a noi sembra ingiustamente negato. L'invidia ci fa sopravvalutare la sua fortuna, e al tempo stesso alimenta la percezione della nostra sfortuna, facendoci sentire dolorosamente esclusi da un bene cui aspiriamo. Si tratta, evidentemente, della reazione di una parte di noi molto infantile; ma è proprio l'incapacità di dominare questa dolorosa sensazione di esclusione ciò che porta ad attaccare l'altro, a denigrarlo o deriderlo, per distruggere quelle caratteristiche che ce lo fanno percepire ingiustamente più fortunato o apprezzato di noi.
Ma oltre alla maldicenza e alla critica ingiusta, un'invidia non riconosciuta può portare con sé molte altre conseguenze negative nella nostra vita quotidiana. Tra queste è importante riconoscere anche l'incapacità di gioire per il successo e la fortuna degli altri. In questo caso, ciò che accade è una sorta di ottundimento della risposta emotiva: malgrado le migliori intenzioni diventa impossibile per noi partecipare pienamente della gioia di un'altra persona anche cara, e condividere i suoi successi. Si sperimenta allora una specie di sgradevole distanza che la semplice volontà non riesce ad annullare, accompagnata da un'altrettanto sgradevole percezione di sé. L'ottundimento emotivo e la sensazione di distanza non sono altro che una difesa psichica dal dolore provocato dall'invidia, soprattutto quando la parte più adulta e consapevole di noi la disapprova, e vorrebbe sinceramente poter gioire con l'altro per i suoi successi. Anche in questo caso, sarà proprio la consapevolezza delle nostre emozioni e non la loro rimozione ciò che permette il cambiamento, e può aprire la strada ad una vera maturazione personale.
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