giovedì 5 novembre 2020
Noi valorizziamo forse poco la vita quotidiana. Ci sentiamo imprigionati dalla routine, in un trantran monocorde capace di mettere in ibernazione noi e l'universo intero. Oppure ci vediamo presi in un vortice di obblighi che non ci fanno che produrre sforzo, accelerazione e stanchezza, e senza darci risposte. Il quotidiano ci appare spesso come un'arena nebbiosa in cui combattiamo, con grande fatica, la nostra lotta per la sopravvivenza (e questa soltanto). «Quando penso alla quotidianità, l'infinito mi sembra una cosa ancor più distante», mi confidò, un giorno, un'amica. Eppure, senza sottovalutare questo stato d'animo che è reale, senza negarne il peso, noi abbiamo bisogno di riconciliarci con la quotidianità. Perché nella sua forma vulnerabile, anche contraddittoria, essa è il luogo degli apprendimenti più vasti, degli incontri più decisivi, delle esperienze più illuminanti. La vita, a ben guardare, non è tutti i giorni uguale. I giorni, se li abbracciamo bene, non sono un'antologia di momenti opachi e friabili. Gli istanti non sono sprazzi occasionali senza senso, su cui non fare affidamento. La quotidianità è la barca, ed è il viaggio. È lo specchio confuso di cui san Paolo parla nel celebre inno della Prima lettera ai Corinzi, ma è anche il luogo in cui si saggia la promessa di una visione nitida. Per questo la nostra quotidianità ci esige di aprire gli occhi per davvero. E di assumerla come nostra preghiera oggi.
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