Dell'Università, quantomeno della nostra, non si parla mai abbastanza male. Un recente saggio di Federico Bertoni uscito da Laterza, editore che di università campa, affronta la questione con insolita energia, ma è ancora troppo interno. Soprattutto, un recente intervento della magistratura ha rivelato ai pochissimi che già non lo sapevano come si assegnano le cattedre, come funzionano i concorsi, il sistema delle baronie... "Carta conosciuta", si dice a Napoli: perché nessun italiano che con l'università ha avuto a che fare può ignorare queste consuetudini, così come al tempo di Mani Pulite nessuno poteva dire di ignorare il sistema delle mazzette ai politici. Sono così ingenui i giudici italiani? E loro, come hanno avuto il posto, come vengono scelti, come fanno carriera? Insomma, dove comincia e dove finiscono le complicità (e la corruzione) in un Paese che, senza, non andrebbe avanti? E quanti, nella nostra classe dirigente, possono serenamente scagliare la prima pietra? Non lo dico ovviamente per giustificare la corruzione, ma solo per ricordare che ci circonda e ci perseguita in troppi modi, e che gli onesti, in questo contesto, sono destinati a figurare come sciocchi. Ma tornando all'università (che io, per fortuna o disgrazia, non ho potuto fare, e che vedo dunque del tutto dall'esterno) il problema va oltre il caso denunciato di recente e sui tanti finti ingenui che hanno detto la loro, e l'impressione che ricava chi ne sta fuori è che si tratti di un sistema chiuso e prevalentemente parassitario, dove la cultura è intesa come qualcosa di morto prima ancora di nascere, e dove degli zombi si parlano e si amano o odiano tra di loro rendendo, nel loro lavoro, morti anche i più vivi dei morti di ieri, e dove gli studenti sono destinati a diventare, se nell'università vogliono rimanere per guadagnarsi da vivere, dei cloni, o anche loro degli zombi. Ci sono delle eccezioni (ce ne sono in ogni campo o quasi, ed è probabilmente questo a tenere ancora in piedi il Paese!), ma l'intero sistema non preme per un rapporto sano della cultura con la società, non favorisce un intervento attivo e positivo dentro una società bensì il suo contrario: la produzione in massa di "cretini intelligenti", come li chiamava Sciascia, e non di cittadini che sanno leggere la realtà, la storia come il presente, il nascosto come il visibile, il vero come il falso, che insomma hanno criteri e mezzi per giudicarla, che sono in grado di non accettarla per come essa è, ma che ambiscono a trasformarla, a migliorarla. I vecchi pedagogisti (e la pedagogia, con la sociologia, per come vengono concepite e trasmesse, non danno da tempo, in Italia, contributi utili alla collettività...) dicevano che per formare generazioni sanamente attive si dovesse partire dai due capi dell'educazione, la scuola elementare e l'università. Oggi se la passano male tutt'e due queste scienze, ma la prima ha ancora una funzione da svolgere e il singolo insegnante ha qualche possibilità di usarne più o meno bene, mentre la seconda pare a me, che ne sto fuori ma che ne vedo i prodotti, una baracca sconnessa, del tutto impari ai suoi compiti e che andrebbe riformata di sana pianta. Ma di questo dovrebbero occuparsi per primi proprio gli utenti, gli studenti.
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