Sotto il suggestivo titolo La bella devozione, Antonio Florio ha impaginato un programma straordinariamente ricco e affascinante, incentrato sulla musica religiosa policorale napoletana del XVII secolo (cd pubblicato da Opus 111 e distribuito da Deltadischi); al fianco di Florio, la Cappella della Pietà dei Turchini, ensemble vocale e strumentale che si dedica da quasi vent'anni a un prezioso lavoro di ricerca, studio ed esecuzione di quel variopinto repertorio che ha contributo a fare di Napoli una delle capitali della vita culturale europea.
Protagoniste dell'album sono due figure di primo piano nella vita artistica partenopea del Seicento: Cristoforo Caresana (1640-1709) - del quale si ascoltano il "Kyrie" e il "Gloria" dalla Missa Exsultet orbis gaudiis a 8 voci - e Francesco Provenzale (1624-1704), all'epoca contemporaneamente al servizio di due tra le maggiori istituzioni musicali della città (la Real Cappella e il Tesoro di San Gennaro), qui presente con l'inno Pange lingua a 9 voci (scritto per accompagnare il rito delle Quarantore) e con lo splendido Dialogo sacro "a 5 con strumenti" (un'azione scenica sul tema della Passione). Quest'ultimo lavoro, concepito per la Quaresima del 1685, si impone innanzitutto per la squisita fattura del suo testo letterario, sopra cui Provenzale ha elaborato un'originale e coinvolgente trama sonora. I personaggi principali sono rappresentati dalla Santissima Trinità (Padre, Figlio e "Amore"), dai "Garzoni" (angeli "terreni" che affrontano il martirio prima di Gesù) e dalla folla inferocita dei "villici", in una successione serrata di scene musicali sopra cui spiccano, per intensità e riuscita artistica, la preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi ("Partitevi da me tetri pensieri"), l'"umanissima" rabbia di Dio ("Benché l'ira in sen m'accenda") e la richiesta finale di clemenza del Redentore per l'umanità peccatrice ("Padre, Signor, perdona").
Un viaggio all'insegna dei più autentici sentimenti di penitenza e devozione, tra i profumi e i colori di una tradizione ancora viva, che Napoli porta da sempre nei propri cromosomi: nell'estrema teatralizzazione di ogni aspetto della vita quotidiana come nell'inscindibile commistione tra sacro e profano, dramma e commedia, registro colto e popolare.
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