Per spiegare perché «vi debba essere una legge che permetta a ogni uomo di decidere come morire» e che ciò «è del tutto evidente», il teologo Vito Mancuso ha occupato un'intera pagina de Il Foglio (24/08). Qui dovremo accontentarci di poche righe, per dire l'impressione che l'Autore stia costruendosi una teologia che è solo "logìa", cioè solo "parola, discorso, logica, ragione", senza Theòs, il suo oggetto: Dio. Questo sospetto nasce da alcune sue affermazioni e soprattutto da quella decisiva: «Nella Chiesa si è ancora incapaci di pensare la libertà innanzitutto come autonomia dell'uomo», anche rispetto alla natura. È vero piuttosto il contrario: nella Chiesa si è incapaci di concepire la libertà (l'autonomia) senza la responsabilità. Questa, come l'Antico Testamento dice esplicitamente e il Nuovo conferma, è legata intrinsecamente al comando divino di non mangiare dell'albero del bene e del male («Altrimenti morrai») e, implicitamente, all'idea conseguente dell'umanità non come insieme di monadi incomunicabili, in cui ciascuno opera per sé, ma come corpo solidale: ognuno nasce da altri, si relaziona e dipende dagli altri e compie azioni che ricadono sugli altri. Certo: il mistero di una natura «abitata da un inspiegabile carico di dolore» rimane, ma l'intervento del Maligno (e del peccato), che si realizza proprio come esercizio della libertà/autonomia dell'uomo non può essere ignorato da una teologia che si dica cattolica, essendo anche questo indicato dalla Scrittura come causa di ogni male e, se non ne risolve il mistero, almeno lo rende meno "inspiegabile" (vedi Mt 15,18-19 e il messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata della pace 2005: «Il male passa per la libertà umana"»). Mancuso, invece, non sembra andare oltre la relazione uomo-natura. Tuttavia proprio una sua affermazione lo contraddice: «Non c'è nulla di più sacro dell'esercizio autonomo della libertà». Giusto: perché il "sacro" richiama immediatamente Dio e perché la libertà l'ha creata Lui per amore dell'uomo, che ha voluto responsabile. Allora si potrebbe concludere: l'uomo faccia pure la legge sul come e quando vuole morire (cioè rifiuti pure quell'amore di Dio che dà la vita), ma sappia almeno che ne porterà la responsabilità. Anche se non davanti ai tribunali.
FILOSOFIA E RAGIONE
Insegna filosofia all'Università di Pisa, ma è ancora fermo all'interrogativo «a chi spetta decidere» in materia di bioetica. In più, crede di vivere «in un Paese a sovranità (morale) limitata» (l'Unità, martedì 26) e incapace di capire «l'importanza dei valori laici e secolari» (fecondazione artificiale, aborto, diritto di morire, Dico e Cus, pillola del giorno dopo, RU 486, soluzione della «cosiddetta questione cattolica»). Al filosofo Sergio Bartolommei, un po' distratto, qualcuno, allora, dovrebbe ricordare: 1) che lui, come tutti, ha il diritto di sostenere i propri punti di vista, ma che, in democrazia, "chi decide" è il Parlamento; 2) che questo lo ha già fatto, concedendo fin troppo a quegli asseriti "valori"; 3) che, infine, la "questione cattolica" non esiste, avendo i cattolici piena cittadinanza e parità di diritti con i cosiddetti "laici". Quelli che ragionano e quelli che ancora debbono imparare a farlo.
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