Perché di questa cosa non ne parla nessuno
venerdì 20 dicembre 2024

Perché di questa cosa (di questo fatto, di questo tema) non ne parla nessuno? Alzi a mano chi, navigando sul web o scrollando sui social, non si è fatto almeno una volta questa domanda. La risposta più semplice e più gettonata è che di certe cose non se ne vuole parlare. Ma in un mondo digitale con centinaia di migliaia di fonti di informazione è di fatto praticamente impossibile che non ci sia nessuno che affronti o abbia affrontato un certo tema o un certo argomento. Quindi, in realtà, non è vero che nessuno parla di certe cose, ma è vero che noi non lo vediamo. Eppure, invece che interrogarci sul modo col quale ci informiamo (che è sempre più passivo e sempre meno attivo, cioè cerchiamo sempre meno le notizie e attendiamo sempre più che ci arrivino addosso), spesso restiamo convinti che nessuno ne parli e che attorno a certe cose e a certi temi ci sia una sorta di censura. Su questo fenomeno la newsletter americana Embedded ha intervistato l’esperto di media Max Tani. Tra le tante cose interessanti che ha detto c’è anche il fatto che ormai riceviamo le notizie a pezzetti e così finiamo per non comprendere quanto siano importanti e quanto siano seguite da tante persone. Ci manca, insomma, il quadro generale. Per di più spesso accade un’altra cosa importante: se, quando ci imbattiamo in certe notizie, non le vediamo gonfiate e strillate come secondo noi meriterebbero, ci sembrano ridimensionate o addirittura censurate. A complicare le cose, secondo Tani, c’è anche il fatto che in questi anni è cambiata sia la presenza delle notizie sui social (ce ne sono sempre meno) sia il modo col quale ci avviciniamo ai media (ci siamo convinti che quelli tradizionali siano diventati quasi marginali, quando invece sono molto importanti per la corretta informazione). C’è anche un altro dato: se per informarci andiamo su un social, finiamo col credere che il fatto più importante del giorno sia la polemica quotidiana o un fatto diventato virale grazie agli algoritmi di quella piattaforma. E così, anche se nessun social è di fatto un medium di massa per le notizie, finiamo col credere che conti ed esista solo ciò che diventa di tendenza lì. Specularmente, come ha scritto Pierluca Santoro su DigitalMente, viviamo «in tempi in cui continuamente qualcuno intorno a noi ci racconta che di qualcosa “parlano tutti” o che “è ovunque”, ma noi non abbiamo idea di cosa sia». E questo accade, continua Santoro, «perché non ci sono quasi più notizie che raggiungono tutti, ma ognuno vive dentro una propria comunità di informazioni indipendente dalle altre e tende a sopravvalutare le notizie che l’algoritmo gli offre». Del tema si è occupata anche la newsletter Charlie, spiegando che il “pluralismo” creato da internet ha sì visto la moltiplicazione delle fonti di informazione e degli spazi di confronto» ma tutto questo «ha atomizzato e isolato le condivisioni di informazioni, cancellando anche una sorta di conoscenza comune tipica del secolo scorso». Col risultato che «adesso è come se tutti sapessero cose diverse». Un tempo a unirci c’era la televisione ma anche lei è sempre più frammentata con pubblici diversi che seguono programmi diversi. Per una parte di pubblico restano i telegiornali ma il loro tempo e le loro scelte non risolvono il problema. Quindi, la vera domanda che dovremmo farci dovrebbe essere: quanto mi impegno per informarmi al meglio? Perché alla fine non è tanto importante che si parli di una certa cosa ma che venga fatto nella maniera più corretta.
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