I consigli per educare si sprecano: esiste a questo proposito un'immensa bibliografia, ricca anche di testi di ottima qualità. Ma c'è, oggi, una fatica particolare, che rende scoraggiati e incerti davanti al compito: dopo tanti anni di libri, conferenze, consigli, i genitori si sentono stanchi e poveri di energie, sopraffatti dalla sensazione di essere soli davanti a qualcosa che li sovrasta. Niente sembra garantire la riuscita del compito, niente assicura che i nostri figli cresceranno sereni, che schiveranno i molti pericoli che ci spaventano, che avranno una vita buona. Si ha la sensazione di un "troppo" che stanca e confonde, spingendo alla rinuncia: troppe sembrano le cose necessarie per essere genitori all'altezza, troppe e troppo difficili, impossibili per noi, adulti imperfetti alle prese con problemi personali cui spesso non riusciamo a trovare una soluzione. Forse è giunto perciò il momento di tornare all'essenziale e domandarci qual è il vero cuore del rapporto educativo: cosa può fare di noi, malgrado i nostri limiti, la risorsa migliore per i nostri figli e ci permette di dare risposta alla fiducia che il cucciolo d'uomo nutre per coloro ai quali la vita lo affida. Io credo che un buon rapporto educativo richieda soprattutto passione, fiducia e speranza. La passione per la vita è il cuore di ogni relazione nutriente con le persone che crescono; se si ascoltano i ragazzi, si scopre che niente è per loro così difficile da sopportare come un genitore sempre preoccupato, rabbuiato e lamentoso, privo di slancio vitale. Niente li schiacciapiù della nostra sfiducia, del nostro cinismo, della nostra attitudine disillusa. Hanno bisogno di vedere in noi i testimoni della promessa che vivere appassiona, che vivere "vale la pena". Quando affermiamo che qualcosa "vale la pena", diciamo appunto questo: che ci sono anche una pena e una fatica da sopportare, ma che sono una piccola cosa rispetto al valore verso cui tendiamo. Testimoniamo l'esistenza di un senso, di una felicità possibile: esiste per noi qualcosa di vitale che ci fa alzare al mattino, uno scopo per cui lottare, qualcosa che va al di là della pura soddisfazione dei bisogni e che tiene aperto il futuro. Proprio per questa apertura al futuro è però indispensabile anche un atteggiamento di fiducia: non tutto è stato detto, non tutto è stato fatto, e i nostri figli sono sempre e comunque, generazione dopo generazione, i portatori potenziali dell'inedito e dell'imprevisto; possono ancora inventare, possono ancora stupirci, possono ancora rendere il mondo un posto migliore, purché diamo loro il credito che merita ogni nuova vita. I nostri figli non hanno bisogno di trovare in noi risposte già confezionate a tutte le domande: hanno bisogno piuttosto che sappiamo suscitare e tenere aperte le loro domande, senza venire sopraffatti dal nostro bisogno di dare buoni consigli e buone soluzioni, o convinti che le soluzioni migliori siano in ogni caso le nostre. I nostri figli hanno bisogno di inventare di nuovo la vita, sorretti dallo sguardo fiduciosi di chi li ama: sguardo che dice "credo in te, ce la farai", sguardo di curiosità autentica per l'imprevisto e il nuovo che ogni figlio può portare nel mondo. La nostra passione e la nostra fiducia, però, non possono nascere nel vuoto: hanno bisogno di un fondamento, e questo fondamento è la virtù della speranza. La mancanza di passione e di fiducia che oggi si respirano diffusamente e che rendono così faticoso anche educare è legata alla generale caduta di quella speranza che è caratteristica distintiva del sentire cristiano; citando Benedetto XVI «... elemento distintivo dei cristiani è il fatto che essi hanno un futuro:... sanno nell'insieme che la loro vita non finisce nel vuoto». Dobbiamo dunque tornare all'essenziale e attingere con decisione alle nostre radici; niente della nostra vita va perduto e ogni singolo momento, gesto, pensiero portano in sé un senso: un senso da coltivare e trasmettere anche alle nuove generazioni.
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