Parisa & le altre: a Kabul guidano (anche) le donne
giovedì 24 giugno 2021

Succede ogni volta che le clienti salgono a bordo: scherzano, ridono, si sistemano il rossetto e si scambiano confidenze. Al volante c'è una di loro, una donna, e questo cambia le cose: può essere Hanifa o Parisa o una delle altre autiste che in una società misogina hanno osato sfidare convenzioni e tabù e hanno conquistato la patente di guida.

Siamo a Kabul, nella capitale di un Paese, l'Afghanistan, che vive settimane sospese da una parte per una recrudescenza dell'epidemia di Covid e dall'altra per l'imminente ritiro dei soldati internazionali.

Hanifa e Parisa parlano via Skype con Avvenire del progetto che hanno abbracciato, il Pink Shuttle, primo servizio di trasporto collettivo per donne gestito da donne. I minivan sono 7, di cui 4 appena entrati in servizio (e sono gialli, non rosa!), le autiste professionali – le uniche nel Paese – sono una mezza dozzina e sarebbero di più se il Covid non fosse arrivato a rallentare tutto.

Parisa è stata la prima: una quarantina di anni, bellissima con il velo arancione a incorniciarle il viso truccato con grazia. Data in sposa poco più che adolescente a un marito prima estraneo poi pian piano compagno, tre figli, un passato da esule in Iran, voleva che il suo desiderio di imparare a guidare non rimanesse un sogno come per la stragrande maggioranza delle afghane. Nel Paese la libera mobilità delle donne nei fatti non esiste e ciò è uno degli ostacoli alla loro emancipazione: non possono guidare una bici o una moto, né possono condividere un mezzo di trasporto con un uomo che non sia di famiglia...

Grazie alla onlus italiana Nove, che da anni a Kabul sostiene le donne con diversi progetti di formazione e imprenditoria nel suo Women Business Hub, Parisa ha potuto studiare, fare pratica con la guida e infine sostenere l'esame per la patente, insieme a oltre 245 “colleghe”, di cui 14 hanno fatto addestramento sui minivan. «All'inizio mio marito e i miei figli erano contrari. A Kabul le donne non sono rispettate, quasi nessuna guida l'automobile, sono continuamente molestate e prese a male parole. Il traffico è pura anarchia, senza regole vale la legge del più forte. Tutti in famiglia mi ripetevano che non avrei saputo affrontare tutto questo. Ma io non mi sono fermata e alla fine hanno ceduto loro. Oggi mio marito è il mio primo sostenitore e quando viaggiamo insieme lascia che sia io a guidare».

Hanifa è più giovane, ha intensi occhi scuri, due figli e una famiglia che fin da principio, al contrario di quella di Parisa, ha visto nella licenza di guida l'opportunità di una maggiore sicurezza economica.

Il Pink Shuttle è un servizio di mobilità collettiva e i primi accordi sono stati presi con scuole, università, ministeri e organizzazioni per trasportare decine di studentesse e impiegate ai rispettivi luoghi di studio e di lavoro. Una questione non secondaria, visti i recenti attentati che hanno visto tra le vittime soprattutto donne. Un pulmino è stato attrezzato per il trasporto disabili ed è al servizio delle atlete della squadra nazionale di pallacanestro in carrozzina.

Il Covid si è messo di traverso, ma non è questo l'incubo peggiore di Hanifa e Parisa, che a Kabul gestiscono il progetto delle navette insieme a Nove onlus. Le truppe internazionali sono in procinto di lasciare l'Afghanistan e niente, nel futuro del Paese, è scontato. «Se i taleban tornano al potere, perderemo tutto. Le donne non potranno più uscire di casa senza un uomo, non avremo più istruzione né lavoro. Guidare l'auto tornerà a essere una cosa da uomini, e ci sarà proibito continuare a farlo», conclude Parisa. Ma in cuor suo spera che il suo sogno continui.

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