La distanza del Pacifico dall’Europa porta a pensare a una vastità geografica semplicemente riempita d’acqua e di terre emerse tanto sconosciute quanto esotiche. Eppure la loro importanza cresce ora nella lotta per il controllo geopolitco tra la Cina e l’Occidente. Ciò che l’Australia chiamava fino a poco tempo fa “il nostro giardino dietro casa”, poco rilevante, quasi un ripostiglio, diventa uno spazio vitale da che le Isole Salomone hanno stretto un patto di collaborazione e sicurezza con Pechino.
Ciò induce una riflessione anche per le Chiese. Per noi cattolici in particolare si tratta di recuperare una collaborazione regionale che non può essere quella del passato, visti i cambiamenti intervenuti, ma nemmeno può limitarsi a incontri e assemblee di vertice. Per tutto il Novecento forte è stata la presenza missionaria nel Pacifico, preparata nella seconda metà del secolo precedente. Ci sono stati i religiosi europei e americani, ma anche australiani e neozelandesi sono stati presenti in grande numero. A questi ultimi, specialmente fratelli laici insegnanti e religiose, si deve un enorme impegno nell’istruzione. Migliaia di loro hanno educato le prime generazioni di indigeni alla cultura e al mondo moderno stabilendo scuole che sono poi diventate parte del patrimonio delle varie nazioni indipendenti.
A quell’epoca di forte collaborazione – apparentemente a senso unico, ma in realtà arricchente e motivante per tutti – non ha ancora fatto seguito un’alternativa altrettanto pratica e generosa. Ci sono oggi nel Pacifico quattro conferenze episcopali (Australia, Papua Nuova Guinea e Isole Salomone, Isole del Pacifico, Nuova Zelanda) con circa ottanta diocesi o realtà ecclesiastiche equiparate. L’unica attività comune visibile è un’assemblea generale dell’episcopato ogni quattro anni organizzata e ospitata a turno da una delle quattro conferenze. L’incontro e il dibattito, in genere su temi di attualità e condivisi dalla Chiesa universale, risultano sempre arricchenti. Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, in visita alla Papua Nuova Guinea per l’assemblea del 2018, ha però suggerito la creazione di un piccolo segretariato esecutivo, per dare seguito maggiore e più efficace alle conclusioni e ai suggerimenti dell’assemblea quadriennale. Questi possono riguardare preoccupazioni a carattere più sociale, legate a temi molto attuali nel Pacifico, come la cura della casa comune e la difesa dell’ambiente, in particolare dell’oceano, ma anche più direttamente ecclesiali: sviluppo della vita religiosa, formazione sacerdotale, comunicazioni sociali e rottura dell’isolamento, confronto con la secolarizzazione, ecumenismo e tanto altro.
Insieme si può e si deve fare di più. Un esempio pratico, che può crescere, già c’è: la Caritas opera in Australia, Papua Nuova Guinea, Nuova Zelanda, Fiji, Samoa, Isole Salomone e Tonga con progetti e staff di diversa entità ma in modo ben coordinato. Si può dire che di fatto oggi è l’unico organismo ecclesiale operativo comune alle quattro conferenze episcopali. Da noi in Papua Nuova Guinea la Caritas era ridotta quasi a nulla sino al 2019 a causa di una crisi amministrativa di dieci anni prima. Quando si è deciso di chiudere quella stagione infausta e rilanciare l’azione, si è vista l’efficacia della collaborazione pratica e generosa, del sostegno reciproco e dell’accompagnamento regionale. Oggi la nostra Caritas nazionale c’è di nuovo. Un risultato certo a portata di mano anche per tante altre componenti della presenza e del servizio ecclesiale nel Pacifico.
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