Tanto e buono. Dovrebbe essere così l'olio di oliva italiano prodotto quest'anno. A dirlo sono i due colossi dell'associazionismo olivicolo nostrano: Unaprol e Consorzio nazionale degli olivicoltori (Cno), che hanno monitorato insieme l'andamento della campagna olearia 2015-2016. Dalle informazioni raccolte, dopo un 2014 disastroso, adesso quantità e qualità dovrebbero crescere insieme. Merito, spiega una nota congiunta, di una stagione caratterizzata da condizioni climatiche prevalentemente favorevoli e dalla sostanziale assenza di problemi rilevanti legati alle malattie dell'olivo. Mettendo insieme le stime per ogni regione, dunque, gli osservatori del mercato si aspettano una crescita media del 46% rispetto alla campagna 2014-2015, per un valore assoluto che si attesterebbe a circa 299mila tonnellate. Guardando al dettaglio delle singole aree, emerge ancora il primato della Puglia (con un aumento del 45% e una produzione di quasi 180mila tonnellate di olio), seguita da Calabria e Sicilia e, ad una certa distanza, da Lazio, Campania e Toscana. Più lontano ancora si colloca la Liguria. Rapportando le stime di produzione alle superfici produttive investite ad olivo, viene poi fatto notare, emergono rese medie di poco inferiori a 3 quintali ad ettaro, con picchi massimi registrati in Puglia (5 q/ha), che si conferma la regione maggiormente produttiva anche dal punto di vista delle rese.Una buona prospettiva quindi, che potrebbe ridare orizzonti di certezza ad un comparto prezioso ma tartassato da problemi legati alla produzione così come alle pratiche scorrette sui mercati. Unaprol e Cno, in ogni caso,fanno notare come anche le più ottimistiche previsioni non riporteranno, per ora, la produzione nazionale al livello ordinario. «Il segno positivo registrato in tutte le regioni olivicole italiane, con l'eccezione della Sardegna – spiegano ancora le associazioni –, va ridimensionato in termini di riflessi sul valore assoluto delle previsioni perché rapportato ad una campagna eccezionalmente negativa per l'olivicoltura italiana», quella del 2014. Ma il segno di inversione di tendenza c'è stato. E questo per ora basta ai produttori che guardano comunque sempre con attenzione ai mutamenti del mercato, ai concorrenti di sempre come gli spagnoli, alla necessità di riuscire a distinguere di più il prodotto nostrano e genuino da quello importato. E, a ben vedere, oltre ai problemi legati alle malattie tipiche dell'olivo (come la Xylella ma non solo), il vero cruccio degli olivicoltori rimane il mercato e le necessità che impone in termini di competitività e lotta alla contraffazione.
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