Le fake news, cioè le notizie create ad arte per danneggiare qualcuno, si propagano soprattutto via social. Potrà sembrare un controsenso, ma ciò avviene mentre, come ha evidenziato l’ultimo Digital News Report, «i social media tradizionali come Facebook e X stanno attivamente riducendo l’importanza e il ruolo delle notizie sulle loro piattaforme». Secondo lo studio condotto in 47 nazioni per il Digital News Report 2024, TikTok (27%) e X (l’ex Twitter, 24%) sono le piattaforme di social media dove le persone fanno più fatica a capire se i contenuti informativi che trovano siano affidabili o falsi. Facebook e Instagram non sono però molto indietro, con il 21% e il 20% degli intervistati che ammettono la stessa difficoltà. C’è un punto particolarmente interessante dello studio. Quando gli autori scrivono: «Le preoccupazioni sulla disinformazione sono spesso guidate più dal fatto di incontrare opinioni e idee in contrasto con le proprie che non da vere e proprie fake news». Anche perché, aggiungiamo noi, riconoscere una fake news a volte è ben più difficile che non l’individuare un’opinione in aperto contrasto con la nostra. Il problema della disinformazione esiste, eccome. Per Walter Quattrociocchi, professore alla Sapienza che da 10 anni studia il problema, dobbiamo considerare quattro fattori. Il primo: l’informazione (e la disinformazione) non si diffonde come un virus. Secondo: gli utenti online cercano l’informazione che più gli piace, ignorano informazioni a contrasto e tendono a creare gruppi con persone che la pensano allo stesso modo. Terzo punto: il cosiddetto effetto bolla o echo-chamber, cioè la tendenza a creare gruppi polarizzati, aumenta la polarizzazione. Quarto punto «analizzando 8 piattaforme diverse e tantissimi contenuti, su diversi argomenti diversi abbiamo visto che le dinamiche di conversazione e le dinamiche di interazione tra esseri umani sulle piattaforme social sono uguali, nonostante differenti norme sociali ed etiche». Per essere ancora più chiari: anche se si cambia l’etica e le norme dei social, il comportamento umano rimane lo stesso. Analizzando il problema fake news, secondo Quattrociocchi, abbiamo commesso alcuni errori. Non è vero che le persone stanno sui social per informarsi, li frequentano per intrattenimento. E ancora: le news fruite sulle piattaforme social sono il 4% del traffico totale. Quattrociocchi in un convegno di giornalisti si è spinto ancora più in alto: «esistono cose vere, esistono cose false, ma in mezzo c’è un sacco di roba che non possiamo certificare. Quante cose che consideriamo plausibili e vere oggi saranno considerate sciocche tra quindici o 20 anni? Senza parlare dei nostri limiti cognitivi. «Non siamo onniscienti, non siamo in grado di comprendere tutto. Siamo lenti, ci mettiamo un sacco di tempo e facciamo un sacco di errori. Sui social poi c’è cacofonia di informazioni la cui qualità tendenzialmente tende a zero». Tutto questo confina con un tema molto vicino e altrettanto dibattuto: la fiducia nell’informazione. Spiega il Digital News Report: «La maggior parte delle persone pur vivendo in diversi Paesi del mondo ha idee molto simili su quali siano i fattori più importanti per decidere di quali testate giornalistiche fidarsi. E sono: trasparenza, alti standard, libertà da pregiudizi e trattare le persone in modo equo». C’è anche un altro punto importante: la fiducia delle persone per testate giornalistiche specifiche è spesso influenzata dal fatto di sentirle allineate alle proprie idee politiche e ai propri valori (o almeno non in antitesi con essi). In generale, però, «quando si tratta di decidere di quali testate fidarsi questo fattore è meno frequentemente menzionato rispetto a trasparenza, elevati standard ed equità nel fare informazione». © riproduzione riservata
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