Netflix ha messo in rete di recente la serie La linea verticale, già andata in onda su Rai 3 nel 2018 e da allora sempre disponibile su RaiPlay. Se vogliamo è un fatto abbastanza curioso che una piattaforma a pagamento proponga qualcosa che è visibile su una piattaforma concorrente non a pagamento o comunque compresa nel prezzo di un canone obbligatorio. In ogni caso può essere un’occasione per rilanciare una delle serie televisive più interessanti degli ultimi anni, al netto, ovviamente, di qualche immancabile limite anche nel raccontare alcuni uomini di Chiesa come un prete più a suo agio con l’iPhone che con i sacramenti o nel mostrare fedeli ben più attratti dai fatti propri che dalle liturgie. Ma sono particolari (anche se fanno opinione) che non possono non fare apprezzare l’originalità di questa serie e l’interpretazione di Valerio Mastandrea, uno dei pochi attori capaci di passare tranquillamente dal tragico al comico e viceversa. La storia, ispirata all’autentica esperienza del regista Mattia Torre, narrata tra emozione e distacco, è quella di Luigi (Mastandrea), un quarantenne che durante una visita medica scopre di avere un tumore al rene sinistro. Un mese più tardi, accompagnato dalla moglie Elena (Greta Scarano), incinta del secondo genito, viene ricoverato e operato. In ospedale prende coscienza di un microcosmo molto particolare dove la vita è dettata dagli altri secondo precise regole. Un microcosmo, quello del reparto di urologia oncologica di un ospedale italiano, dove si manifestano appieno bontà e cattiveria. Il tutto visto dalla parte del paziente, come poche altre volte succede in tv nonostante che di ospedali siano piene le fiction. Ma il tono del racconto non è solo realistico, è anche surreale e satirico. La novità di questa serie sta proprio nel creare situazioni ironiche, persino oniriche, nel bel mezzo del dramma.
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