Chi ci salverà dalla crescente disinformazione? In America, soprattutto in vista delle elezioni presidenziali del 5 novembre, se ne parla moltissimo. Ma il tema ovviamente riguarda tutti, noi italiani compresi. Solo due giorni fa, il direttore dell’intelligence Usa ha lanciato un allarme sull’influenza della Russia, dell’Iran e della Cina nella produzione di disinformazione relativa alle elezioni. Il punto è sempre il solito: l’intelligenza artificiale ha reso più semplice la realizzazione e la moltiplicazione di contenuti falsi. Per questo la California ha deciso di porre un freno ai deepfake (ai video falsi, cioè) sulle elezioni. È di ieri invece la notizia che la società NewsGuard ha deciso di fornire l’accesso gratuito a tutti ai suoi dati che smascherano le notizie false relative alle elezioni presidenziali. Sono segnali positivi ma non devono bastarci per dormire tranquilli. Nemmeno quando leggiamo che a salvarci dalla disinformazione magari creata con l’IA sarà proprio l’intelligenza artificiale. Tutto nasce da uno studio, pubblicato anche sulla prestigiosa rivista scientifica Science, che ha scoperto che certe convinzioni errate delle persone possono essere modificate tramite una chat con l’intelligenza artificiale. L’esperimento è stato condotto su 2.190 partecipanti che credevano in teorie del complotto. Risultato; circa il 25% di coloro che hanno iniziato l’esperimento credendo in una teoria del complotto ne è uscito senza più crederci». Dato incoraggiante ma che va preso con le pinze, visto che i candidati erano pagati e gli esperimenti sono avvenuti in aree protette. Perché, come ha commentato il professor Sander van der Linden dell’Università di Cambridge al Guardian, «dovremmo chiederci se le persone interagirebbero volontariamente con questo tipo di intelligenza artificiale nel mondo reale». E così torniamo purtroppo alla domanda iniziale: chi ci salverà dalla disinformazione? Secondo un giornalista esperto come Ben Smith, «ciò che ci deve preoccupare non è tanto che si possa essere ingannati dall’IA ma che quando qualcuno oggi nega qualcosa di reale può farla franca». Julia Angwin, giornalista investigativa di Proof News che ha partecipato con Smith a un importante dibattito su falsi, IA ed elezioni Usa, ha aggiunto: «La cosa più spaventosa della situazione in cui ci troviamo è scoprire che la sicurezza nazionale Usa non è lì per difenderci. A comandare sono piattaforme e corporazioni che hanno come obiettivo principale il profitto e che non hanno alcun rispetto dei consumatori dei loro contenuti. Quindi, alla fine, la responsabilità ricade su ognuno di noi». Già, ma come fa l’utente medio, sommerso ogni giorno da decine e decine di contenuti a discernerli in maniera corretta, spesso senza avere né tempo né voglia né un’adeguata preparazione? Penserete, come ho fatto io, per questo ci sono i giornali, ci sono i giornalisti che possono combattere la disinformazione. Giusto. E in molti casi lo fanno. Anche se la loro credibilità agli occhi di molti è in discesa (lo dicono studi come il Global News Report). Su questo aspetto fa riflettere un’affermazione di Ben Smith, considerato un’autorità in materia: «Sotto questo punto di vista c’è una speranza per il giornalismo, ma a ben vedere è anche una speranza triste. Perché punta a chiuderci solo nel ruolo di verificatori di fatti mentre fare giornalismo è qualcosa di molto più grande. Non va nemmeno dimenticato che tutta questa disinformazione, sia che venga creata con mezzi automatici o meno, scredita anche il nostro lavoro di giornalisti».
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