Nell'oratorio «Le Stagioni» di Haydn la parabola esistenziale dell'uomo
domenica 6 febbraio 2005
Nella sua esuberante carica espressiva, l'oratorio Le stagioni di Franz Joseph Haydn rappresenta un unico, grandioso inno alla natura, ma non solo: attraverso l'inesorabile scorrere del tempo, scandito dai cambiamenti climatici e dal lavoro dei campi, quest'opera porta in scena soprattutto la celebrazione entusiasta della vita, ritratta in ogni sua forma e manifestazione, sostenuta dalla più radicata consapevolezza della presenza di Dio in ogni angolo del creato. Una visione fiduciosa e altamente positiva, che aveva già profondamente innervato gli ultimi capolavori sacri del musicista austriaco, dalle imponenti Messe all'altro celebre oratorio, la Creazione. Il libretto delle Stagioni - adattamento del barone Gottfried van Swieten da un poema dello scozzese James Thomson - fornì ad Haydn un'ulteriore occasione per liberare la sua fantasiosa vena creativa e spaziare tra bucoliche melodie di carattere popolare e possenti passaggi orchestrali di forte temperie pre-romantica. Di fronte alla varietà stilistica e all'energia vibrante di questa composizione, all'indomani della sua prima esecuzione (avvenuta il 24 aprile 1801 nel Palazzo Schwarzenberg a Vienna) il critico dell'Allgemeine Musikalische Zeitung scrisse ammirato: «Ogni parola, nelle mani di questo Prometeo musicale, è colma di vita e comprensione». Alla testa del RIAS-Kammerchor, della Freibuger Barockorchester e di un solido terzetto di cantanti solisti, il direttore belga René Jacobs ha recentemente realizzato un'incisione discografica delle Stagioni haydniane a dir poco impeccabile (2 cd pubblicati da Harmonia Mundi e distribuiti da Ducale); attraverso una lettura condotta con grazia, misura, equilibrio e religiosa deferenza, in un'esemplare distribuzione di pesi ed energie, vocali e strumentali, che non cade mai nei facili eccessi di un descrittivismo "da cartolina", per portare invece alla luce ogni minima sfumatura poetica nascosta tra le pieghe della partitura. Offrendo il giusto rilievo a sentimenti e situazioni che fanno sì che l'andamento ciclico della natura diventi il simbolo della stessa parabola esistenziale dell'uomo; qui riscattata nel finale dalla premonitrice visione del Paradiso, dove «domina un'eterna primavera e un'infinita beatitudine».
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