mercoledì 17 febbraio 2021
Si dice “Viaggio in Italia” e subito si pensa a Goethe, che percorse la Penisola tra il 1786 e il 1788, ma se Goethe è il più celebre viaggiatore, altri turisti colti l'avevano preceduto: Montesquieu viaggiò in Italia nel 1728-29; il marchese De Sade nel 1775-76. Poi verrà Stendhal “milanese”, amantissimo del Bel Paese, anche se il suo diario di viaggio verrà pubblicato nel 1867, diciotto anni dopo la sua morte. Fra le celebrità viaggiatrici, il primo posto cronologico spetta a Michel de Montaigne che intraprese il suo pellegrinaggio italiano il 5 settembre 1580 per concluderlo il 30 novembre dell'anno successivo. La motivazione non era primariamente culturale: Montaigne soffriva di coliche renali (il “mal della pietra”) e l'itinerario assegnava priorità alle accurate soste in località termali. Del Giornale di viaggio si ebbe notizia nel 1771 (Montaigne era morto a 53 anni nel 1592), e fu pubblicato nel 1774. Solo nel 1899 apparve la traduzione di Alessandro D'Ancona, lodata dal Carducci. Irene Riboni ha curato ora la bella edizione pubblicata da La Vita Felice con il titolo Viaggio in Italia. Passando per la Svizzera e la Germania (pagine 404, euro 19,50), con prefazione di Armando Torno. Una buona metà del diario è stata scritta dal segretario di Montaigne, probabilmente con la sua supervisione. È un resoconto scarno, con descrizioni degli alberghi di sosta, con le tariffe e i menu, il costo dei trasporti (cavalli e carrozze) e minuziosi particolari sull'andamento della malattia del signore. A Plombière «il Signor di Montaigne bevve per undici mattine detta acqua; per otto giorni nove bicchieri e per tre giorni sette, e si bagnò cinque volte. Ebbe la colica molto più violenta delle sue ordinarie; gli durò quattro ore e ne sentì chiaramente l'azione e la caduta della pietra attraverso l'uretra e al basso ventre». La seconda parte del diario è scritta da Montaigne in prima persona, avendo congedato il solerte segretario. Ampie pagine sono scritte direttamente in italiano, lingua che Montaigne padroneggiava, e a Roma si diede da fare per ottenere la cittadinanza romana, che peraltro a ben poco gli serviva. Fu ricevuto da Gregorio XIII, e gli baciò la pantofola. Come ha scritto Armando Torno, «Montaigne era un umanista scettico, ma si dichiarava credente e la fede la concepiva legata alla nascita e alle tradizioni vissute, non ne faceva una questione assoluta». Nel Diario non ci sono apprezzamenti artistici; le molte chiese visitate sono “belle” o “bellissime”, riteneva che l'Arena di Verona fosse «la più bella costruzione che avesse visto in vita sua», ma non fu certo insensibile alla vestigia romane e rinascimentali della Città eterna. Poco lusinghiero il giudizio sui romani: «La maggiore occupazione dei romani è di andare a spasso e di solito si decidono ad uscir di casa soltanto per andar da una strada all'altra, senza meta o punto dove fermarsi: e ci son vie più particolarmente adatte a questo scopo». Non mancano aneddoti e curiosità, come la minuziosa descrizione della circoncisione di un bimbo ebreo a cui ha assistito, e certamente la lettura del diario di Montaigne è utile anche come background materiale che illumina la personalità del celebre autore degli Essais.
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