Ricordo che l’ho guardato perché aveva un cappello grande e un profilo troppo qualunque per passare inosservato. L’uomo sul treno cercava il suo posto senza guardare chi gli fosse capitato vicino. Indifferente al mondo, con una valigia piccola che sembrava bastargli. In fondo agli occhi, solo uno sguardo dal quale potevo immaginare che aveva mollato tutto ciò che è vita, gioia, desideri. Frammenti di speranza non pervenuti, solo poca allegria e molta stanchezza. È un uomo che si annoia, ho pensato. Magia di un treno, uno dei pochi posti al mondo che ti obbliga a immaginare l’anima degli altri. Ascolti la vita solo di quelli che la loro vita vogliono fartela ascoltare, urlata in un cellulare che non si curano di silenziare. Ho attraversato tanti aeroporti ma le stazioni hanno molto di più. Il fascino straordinario dell’idea di partire, o ancora meglio: l’illusione di avere qualcuno da aspettare. Poi c’è la gente che arriva, sempre diversa dalla gente che va: forse migliore, perché ha già finito. In treno non è mai una parabola totale, perché c’è sempre qualcosa intorno, l’orizzonte non si vede viaggiando di fianco. Lato finestrino, vicino all’imprevedibile, puoi rubare addii che non sono per te. L’impressione di essere di passaggio, quella resta. Mentre l’uomo che si annoia si alza, e senza sollevare gli occhi scende. Destinazione chissà.
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