Il numero 5-6 della rivista «Humanitas» (edita da Morcelliana) è occupato da due dossier. Il primo, a cura di Fabrizio Vecoli, è intitolato Internet e religione, il secondo, curato da Rosa Maria Parrinello, si occupa di Alfabeti spirituali. Mi limito a riferire sulla tematica sintetizzata nell'introduzione di Vecoli, che dà un'idea della vastità e varietà dei problemi affrontati nella sua sezione. Si parte dalla definizione dei due termini che entrano in relazione. Per semplificare si privilegia il termine internet, dato che il significato del termine «religione», teoricamente, si presenta da un lato come acquisito e dall'altro come inesauribile. Ma appena viene tentato l'uso dell'espressione «comunità religiose online», già le cose si complicano. Il fatto di essere nella rete modifica ciò che intendiamo per comunità. Basta comunicare verbalmente attraverso uno schermo per creare una comunità? Che cosa diventa un rito religioso su internet? Le definizioni tradizionali di religione e di esperienza religiosa si «indeboliscono», nota Vecoli, se le si applica al mondo della Rete. Ma poi che cos'è internet? È uno Strumento o è un Ambiente? Se è un semplice strumento, allora restiamo in rapporto di continuità con il percorso storico dello sviluppo tecnologico: il soggetto umano e il contesto di interazione resterebbero stabili, anche se dotati di un mezzo comunicativo potenziato. Nel caso invece che si veda internet come un ambiente, la nuova tecnologia modifica l'identità mentale e psichica dei singoli, nonché quella sociale e fisica del mondo in cui vivono. Più potente, diffusa e realistica è questa seconda ipotesi: non a caso il termine e concetto di «cyberspazio» è in uso da tempo e indica una nuova dimensione dell'esistenza e dell'esperienza umana. Il cyberspazio sembra tra l'altro riprendere un'idea-chiave di Teilhard de Chardin, quella di «noosfera», o sfera mentale, culturale. Se questo è vero, le basi antropologiche dell'umano sono in mutazione e le stesse religioni ne risentiranno.
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