Èdal 1922 che il vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli accompagna con notevole regolarità l'evoluzione della nostra lingua, i cambiamenti della nostra società così come si riflettono nei nostri gerghi, i comuni come gli specialistici. Lo edita Zanichelli, un cognome che somiglia all'altro non solo per la zeta di Zorro, con la conseguenza che a volte anch'io li ho scambiati. Insieme al Devoto-Oli, di cui si diceva che fosse il migliore quanto alle etimologie, ma non sono in grado di giudicare, è il fedele ospite della mia e di migliaia di scrivanie, anche se, quando sono in trasferta per un po' di tempo, mi porto dietro solo il vecchio, leggero e fedele dizionario dei sinonimi di Decio Cinti. Ora ho qui sul tavolo la nuova edizione (targata 2016) dello Zingarelli e mi diverto a sfogliarla scoprendovi di tutto. La curiosità si accentra su due direttrici: le definizioni chieste a un centinaio di scrittori, giornalisti e affini su parole particolari (in copertina c'è l'inizio di quella di identità data dalla Ferrante: «l'identità è la colla della molteplicità…»), e, più diffusamente, sulle parole nuove, quelle che più di altre definiscono un'epoca, gli anni in cui viviamo. Vengono dal gergo scientifico, sportivo, politico, da ogni gergo, e dimostrano che la lingua continua, nonostante l'omologazione, a cambiare, dimostrano che la vita continua. Da “access point” a “zighinì”, dovrebbero servire, agli adulti e ai sedentari, per non sentirsi tagliati fuori dal flusso di una storia che non smette di aggredirci e di mutarci. Sono tante e spesso astruse, bizzarre, forse effimere; ma è proprio questo a dar loro sapore. Tra le definizioni “d'autore” cerco ovviamente quella di giovinezza, di cui è autore un sociologo che stimo, Ilvo Diamanti. Dice in breve cos'erano i giovani in epoche precedenti e di quando si sono imposti come «protagonisti del cambiamento», di quando venivano «osservati con attenzione, per anticipare il futuro». Oggi, constata, «sono sempre di meno», studiano più a lungo, trovano difficilmente un posto di lavoro, si sposano meno e più tardi, vanno all'estero e spesso ci restano. L'Italia è «un Paese che invecchia», e dove «si finge di essere per sempre giovani. Così la giovinezza se ne va altrove, perché è senza futuro. E ci lascia prigionieri di un eterno presente». È divertente, sfogliare lo Zingarelli, ma – e i suoi compilatori lo sanno bene – anche un tantino angosciante: il mondo cambia, ma non sempre in meglio.
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