Una buona notizia per la libertà di stampa, nell'anno appena concluso, arriva dall'Uzbekistan: dopo 18 anni di carcere duro, è stato rilasciato Muhammad Bekzhanov, probabilmente il giornalista in prigione da più tempo al mondo. Era il caporedattore del giornale di Erk, il partito oppositore del regime alla guida della Repubblica ex sovietica. Già nel 1993 aveva dovuto andare in esilio per un primo periodo.
Amnesty International, che si è mobilitata per lui sin dall'arresto e aveva inserito il suo caso nella campagna "Stop alla tortura", spiega: «Bekzhanov è stato condannato nel 1999 a 15 anni con la falsa accusa di aver collaborato all'organizzazione di una serie di attentati; poi nel 2014 gli erano stati inflitti altri quattro anni e otto mesi per una presunta violazione del regolamento interno della colonia penale dove era detenuto». È una pratica comune in questo Stato autoritario: a un altro noto oppositore, l'ex parlamentare Murad Dzhuraev incarcerato nel 1995 per "reati politici" è stata estesa la condanna per non aver pelato le carote secondo la procedura stabilita dalle norme del carcere. Nel 2015, nel giorno del 61° compleanno di Bekzhanov, Amnesty aveva lanciato una mobilitazione, con 140mila attivisti che avevano scritto al presidente.
Secondo l'associazione, «la tortura è diventata una caratteristica distintiva del sistema penale uzbeko, usata per contrastare il dissenso»: la condanna di Bekzhanov si basava infatti su una confessione, subito ritrattata, estorta dopo essere stato picchiato con manganelli e bottiglie, soffocato e sottoposto a scariche elettriche.
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