
Settimana densa di avvenimenti che ancora una volta dimostrano che lo sport non è un mondo ideale, ma reale, realissimo e che porta con sé, oltre a innumerevoli virtù, anche tutte le ingiustizie, le contraddizioni, le zone grigie della realtà.
Scelgo due avvenimenti, in questa complessa settimana, in discontinuità fra di loro. Il primo è la decisione di Jannik Sinner di scendere a patti con la Wada al fine di concordare una squalifica che gli permetterà di mettersi alle spalle questo periodo assurdo e di tornare in campo a maggio senza perdere gli appuntamenti più importanti della stagione. Da un lato Jannik Sinner, atleta dimostratosi sempre esemplare e che – per ammissione stessa della Wada alla luce delle prove raccolte – non ha tratto alcun giovamento dalla sostanza dopante per la quale è accusato, dall’altro l’agenzia mondiale antidoping, ovvero quell’organizzazione che fischiettò quando, otto mesi prima dei Giochi Olimpici di Tokyo, ventitré nuotatori cinesi di altissimo livello vennero trovati positivi alla Trimetazidina. La Wada chiuse ignobilmente entrambi gli occhi, e soprattutto la bocca, davanti alle curiose tesi difensive che sostenevano che la sostanza sarebbe stata trasmessa «nelle cucine», «negli impianti di ventilazione» e «in alcune stoviglie» senza che nessuno tra il personale di servizio utilizzasse questo farmaco che viene usato per la cura dell’angina pectoris (e lascio dunque immaginare quanto possa essere assunto inconsapevolmente). La Wada sorvolò su un caso enormemente sospetto, uscendone ridicolizzata. E non basterebbe lo spazio di questa rubrica per raccontare tutte le situazioni in cui la Wada si è infilata e che ha ben raccontato Sandro Donati testimonial vivente della lotta al doping. La Wada per salvare se stessa e una parvenza di finta credibilità costringe Sinner a questo epilogo assurdo e triste, non per il danno creato all’atleta, ma perché impone di pagare una sorta di disgustoso pizzo per poter uscire dal tunnel della più ingiusta vicenda di giustizia sportiva degli ultimi decenni.
A fronte di questa faccenda, quanto meno ora chiusa, ce n’è una che chiusa non è per niente, anzi sembra aver rotto gli argini, con un’orrenda escalation che ha coinvolto, solo nelle ultime settimane, una giovane cestita di Rimini, un ragazzino di una squadra di calcio valdostana e atleti come Akinsamniro della Sampdoria, Kean della Fiorentina e Dorval del Bari, uscito domenica dal campo in lacrime. Che cosa hanno in comune questi atleti di genere, età, discipline diverse e che vanno dal puro dilettantismo al professionismo? Il colore della pelle e l’essere stati bersaglio di vergognosi insulti razzisti e riferimenti al mondo dei primati, non quelli sportivi, purtroppo, ma i mammiferi arboricoli. In mezzo a questo squallore una luce: quella accesa dal tecnico del Bari, Moreno Longo, che al termine del match di domenica ha fatto chiaramente intendere quale frase sia stata rivolta al suo atleta e chi ne sia stato l’autore, esponendosi con coraggio in prima persona, al fine di rompere quel muro di banalizzazione o di ipocrita omertà che sovente fa da cornice a simili episodi. Bravo Mister Longo ha ragione lei: “Non si può più stare zitti”, perché altrimenti diventiamo tutti colpevoli, attori e spettatori.
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