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Europa che si interroga sul da farsi, l’aumento degli ettari coltivati, i consumi in calo, la scarsa redditività del prodotto e dei mercati in generale, la crescita delle importazioni che arriva dopo anni di sviluppo del settore. Tutto mentre i coltivatori lanciano l’allarme sulla concorrenza sleale che anche per questo comparto si fa sempre più minacciosa. Unica nota positiva, almeno per i produttori, pare essere l’avvio da parte del governo della procedura per arrivare ad un marchio che indichi l’italianità degli alimenti biologici. Detto in altri termini, l’agricoltura biologica sta attraversando un periodo complesso. Per capire cosa sta accadendo è possibile partire dalla Corte dei Conti Ue che ha espresso recentemente preoccupazioni riguardo al sostegno di Bruxelles all’agricoltura biologica. Stando ai giudici contabili, vi sarebbero carenze strategiche e nessun obiettivo da qui al 2030, mentre il mercato dei prodotti biologici rimane comunque sempre di nicchia. Una contraddizione, per la Corte, visto che sempre l’Europa sta puntando molto proprio sugli obiettivi ambientali e climatici da perseguire con equilibrio ma con determinazione. Certo, la Commissione ha risposto sottolineando tutto il suo sforzo per la tutela e lo sviluppo delle produzioni biologiche; ma il parere lascia il segno e fa preoccupare un po’ tutti gli operatori del settore soprattutto in Italia anche perché, intanto, le importazioni di alimenti ottenuti con tecniche biologiche pare siano aumentate. Coldiretti in una nota sottolinea: «Gli arrivi di cibo biologico extra Ue in Italia sono passati dai 177 milioni di chili del 2022 ai 248 milioni del 2023, secondo l’ultimo rapporto della Commissione Ue, mentre quelle totali nell’Unione Europea sono diminuiti del 9%. Un trend che mette a rischio i record del settore che, grazie alle 84mila aziende agricole attive sul territorio nazionale e ai 2,5 milioni di ettari, vede il nostro Paese leader a livello europeo». Per i produttori, quindi, l’avvio del marchio per il bio Made in Italy è importante per tutelare le aziende agricole dalla concorrenza sleale e garantire trasparenza ai consumatori. Ma non basta certo un bollino per risollevare le sorti di un settore che, forse, negli anni è cresciuto troppo senza trovare mercati adeguati. Ugualmente non è forse sufficiente la creazione di accordi seppur importanti come quello che qualche mese fa ha dato vita alla Rete nazionale dei Distretti biologici d’Italia con l’adesione di sette associazioni appartenenti a sei regioni (Sardegna, Calabria, Lombardia, Veneto, Marche e Lazio). Molto, certo, ci si aspetta dal “Piano d’azione nazionale per la produzione biologica e i prodotti biologici” che qualche mese fa è stato varato con l’approvazione di tutti (ad iniziare da Federbio e Italia Bio) e che prevede azioni sia dal punto di vista delle tecniche produttive che della promozione sui mercati. Proprio la questione dei mercati pare d’altra parte essere quella cruciale. In occasione dell’approvazione del Piano d’azione nazionale, era stato fatto notare come l’attivazione delle “mense bio” nelle scuole per i giovani fino a 14 anni e la loro fornitura con prodotti biologici di prossimità, potrebbe generare un mercato importante e sicuro per un valore di alcuni miliardi di euro.
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