Ametà anni Settanta del secolo scorso accadde nella cultura italiana qualcosa di inaspettato e inspiegabile. La cultura allora dominante fino al fanatismo era quella sia delle avanguardie letterarie (sopravviveva il Gruppo 63 guidato da Eco e Sanguineti) sia delle avanguardie politiche (Sessantotto “rivoluzionario” rabbiosamente in declino). Le avanguardie letterarie davano da tempo per morto il romanzo fatto di personaggi, di trame e di realismo. Le avanguardie politiche, che da “movimento studentesco” si erano irrigidite in piccoli partiti settari di militanti “a tempo pieno”, erano ossessionate da una idea di “rivoluzione alle porte”, secondo mitologie neo-leniniste. Il Novecento si stava precocemente chiudendo nella parodia di vari estremismi, fatta di gestualità distruttive e inconsapevolmente autodistruttive. Una fine dell’umanesimo che doveva preludere alla fine della società “borghese e capitalistica”. Leader ideologici erano allora due marxisti diversamente nichilisti come Sanguineti e Asor Rosa. Senza queste premesse non si spiegherebbe perché e come sia stato possibile che per la maggior parte degli intellettuali e dei critici letterari sia stata istericamente denigrata La Storia di Elsa Morante, romanzo uscito nella primavera del 1974 e che almeno per un anno fosse giudicato un intollerabile anacronismo. Il fatto è che Elsa Morante era un vero genio narrativo, ispirata da una religione del romanzo che in lei non aveva smesso di comunicare con tradizioni secolari, da Cervantes al feuilleton ottocentesco. La Storia non era, come la letteratura d’avanguardia, un prodotto per seminari universitari di teoria sperimentalistica: era un romanzo che si rivolgeva a un pubblico più ampio e vario possibile di lettori. Non era forse nato così il romanzo moderno da Defoe, Stendhal e Dostoevskij? Il successo di pubblico della Storia scandalizzò e sorprese una critica letteraria ormai abituata a recensire romanzi capaci di essere letti e non studiati da un ristretto pubblico abituato a rimasticare Joyce e Marx, Benjamin e Beckett, preventivamente ridotti a formule. Stavo ancora leggendo La Storia cercando di capire, quando Piergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi, direttori di “Quaderni piacentini”, la rivista più letta della Nuova Sinistra, mi annunciarono che Elsa Morante voleva conoscermi perché aveva ammirato un mio articolo su Corporale di Paolo Volponi. Benché fossi piuttosto intimidito dall’esuberanza passionale e dalla cultura di Elsa, per i successivi cinque anni le nostre conversazioni settimanali non si concludevano mai. Fu quello l’ultimo capitolo della mia formazione.
P.S. Alla Storia non si ubbidisce come fa ogni avanguardia. La Storia va giudicata nel suo bene e nel suo male.
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