venerdì 26 luglio 2019
Ho ripreso in mano un vecchio libro polveroso cercando notizie su un personaggio del nostro Risorgimento di cui ricordavo poco, Guglielmo Pepe, e riscoprendo una figura bellissima di patriota, coraggioso, intelligente, carismatico. Il libro è Un popolo si desta. Testimonianze del Risorgimento. Fu seguito da tante edizioni a pochi mesi l'una dall'altra, e l'aveva editato La Nuova Italia nel 1958, la gloriosa casa editrice dei Codignola fiorentini, attenta anzitutto alla scuola e alla formazione degli insegnanti "di ogni ordine e grado", nell'Italia della ricostruzione della nuova democrazia. Ci ho trovato quel che cercavo ma un sacco di altre cose, precedute da essenziali informazioni e collocazioni del curatore, Raffaello Ramat (che fu partigiano azionista e tante altre cose), le testimonianze estratte da libri di memorie o da raccolte di documenti, di chi c'era, di chi i fatti li ha vissuti o visti da presso, e ne è stato protagonista, compresi, ovviamente Mazzini e Garibaldi. Si comincia con Angelo Brofferio sulla Beresina e si finisce con la breccia di Porta Pia raccontata "in diretta" da un militare che si chiamava Edmondo De Amicis... A narrare sono i protagonisti o testimoni ed è questo a dare vivacità e passione all'antologia, che si legge davvero come un grande romanzo collettivo, come, né più né meno, la storia del nostro Paese, la storia di come è nata la nazione di cui siamo figli, e non troppo tempo fa se si considera quando sono nate altre nazioni europee e perfino gli Stati Uniti d'America... Nel libro di Ramat ho ritrovato storie che conoscevo e altre che ignoravo, e capito meglio gli intrighi della politica, le divisioni interne, le ambiguità (e viltà) dei Savoia, le carbonerie, il ruolo del popolo nelle insurrezioni (per esempio a Milano, Venezia, Napoli, in Sicilia...), le diversità tra Mazzini e Gioberti, e ho apprezzato meglio la Belgioioso e ammirato meglio il grande Cattaneo e ho conosciuto un altro Pepe simpatico, quello che sfidò e ferì in duello il Lamartine che aveva detto in una poesia che l'Italia era una terra di morti... Ora, si badi, le cose che già superficialmente sapevo e che mi hanno aiutato in questa appassionante lettura sono quelle che ho imparato a scuola, alle medie e alle magistrali di un tempo, che pure non erano granché come scuole. E, parlando con amici, ho constatato come in quelle attuali, compresi licei e università, di questa storia si sappia pochissimo e malamente. E forse gli ultimi artisti importanti che ne hanno preso ispirazione sono stati, sia detto con riconoscenza, Bianciardi e Visconti (Senso). Un Paese che ignora la propria storia e una scuola che non la insegna non meritano molto rispetto. Un Lamartine avrebbe oggi più ragione di ieri, a vederci come una terra di morti? Moralmente, civilmente morti?
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI