Mi chiedo a volte che cos'è una voce umana e come la si ascolta. Quale filo sonoro è questo, quali distanze e cavità risuonano attraverso di esso, quale fragilità, ostinazione o stupore lo sollevano tremulo fra le corde della gola fino al punto che qualcosa che prima non esisteva nel mondo giunga, come un lampo, a vibrare nell'aria? Come si ascolta questo fiore atmosferico, quest'onda che s'infrange, questa sorta di mormorio, anche quando sembra cartografato come un'afonia, o come un grido? Crediamo di conoscerla. Riteniamo di decifrare la voce umana senza sforzo. Di riconoscerla e basta. Eppure non è mai davvero così. Anche le voci più familiari ci sono sconosciute. Anche le più vigorose sono inudibili. Per questo ci serve un tempo che il più delle volte non abbiamo, non sappiamo, su cui non investiamo. Ma s'incarica la vita di mostrarci quel che perdiamo quando ci rendiamo indifferenti a tutta l'immensità contenuta nel piccolo seme della voce.
La maggior parte delle volte è di corsa che noi passiamo per la vita gli uni degli altri. Anche con i nostri amici: conosciamo cose di loro, manteniamo un contatto regolare, perfino ci incontriamo, ma neppure ci accorgiamo di farlo di corsa. Basterebbe forse un briciolo di lentezza, un passo minimamente diverso, per imparare quel che nella fretta non vediamo, quello che era rimasto da dire dopo, quando ci fosse tempo, e che non c'è mai stato.
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