La «cultura occidentale»: ecco la soluzione proposta dal mondo laicista di fronte a tutte le novità e a tutti i problemi. Era la cultura cristiana che ormai, sotto la pressione di tutto ciò che oggi si chiama "civile" o "civiltà", è contestata e va perdendo la sua origine e i suoi contenuti. Per esempio, l'aborto, le metodiche della "procreazione medicalmente assistita" derivata dalla zootecnia, l'istituzionalizzazione politica e giuridica delle unioni civili e dell'omosessualità, la finanza che non guarda in faccia a nessuno come nei recenti "giochi" bancari, i "paradisi fiscali", l'affitto dell'utero a pagamento, il sesso ridotto a piacere e a violenza. Tutto ciò alimentato dal "principio di autodeterminazione". L'aborto volontario fu definito «una conquista di civiltà» e la legge 40 – che poneva ragionevoli limiti alla fecondazione artificiale per ridurre il numero di morti fra gli embrioni umani – è qualificata dalla Repubblica (venerdì 8) «oscurantista» e definita «orrore che rasenta la disumanità». Fanno parte di questa «cultura occidentale» anche l'antilingua (quella che ha reso possibile tutti i rovesciamenti morali che abbiamo appena ricordati) e anche la volgarità del parlare comune e di alcuni giornali e riviste: per deplorare la pericolosa politica di Trump per Israele e la Palestina Il Fatto Quotidiano ha pubblicato (mercoledì 6) una vignetta in cui Maria risponde a Giuseppe con una grossa volgarità. Se, come scrisse qualche giorno fa Corrado Augias, «il biotestamento è una scelta di libertà» (nel titolo di Repubblica) c'è da chiedersi se anche la blasfemia sia «cultura occidentale».
DI CHI È?
«La vita è nostra, è l'unica cosa che ci appartiene». Questa è la polemica conclusione apparsa su Libero (mercoledì 6) di un commento del suo direttore al processo contro Marco Cappato, accompagnatore qualificato di chi cerca aiuto per uccidersi a pagamento nelle cliniche mortuarie svizzere. Nostra come a nostra parziale disposizione, ma non come "proprietà". Ci viene data senza nostra richiesta e non dipende da noi per le malattie e per l'intelletto. Non possiamo progettare la nostra morte se non violando palesemente l'andamento della nostra vita. La sua proprietà è fuori della nostra volontà e non ci è possibile impedirne la fine quando arriva. Invece una proprietà non nostra esiste anche per la morte, per cui il suicidio è un esproprio a danno dei nostri cari. Poiché la vita non è possibile al di fuori della comunità umana, una morte è una sottrazione di noi ai parenti, agli amici, ai cittadini. Verso costoro tutti, in misura diversa per ciascuno, abbiamo una responsabilità, un legame che s'interrompe, un amore reciproco che mancherà, una relazione che cesserà. La "nostra" vita è l'amore di Qualcun Altro. È forse l'unica cosa di cui non possiamo disporre. A volte persino nel suicidio.
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